Zonderwater, l'Italia sospesa
Come lo sport ha preservato le vite dei prigionieri italiani in Sudafrica.
Mar Mediterraneo, acque tra Gaudo e Capo Matapan, 27 marzo 1941. Una squadra della Regia Marina, guidata dall’ammiraglia Vittorio Veneto, naviga verso Creta. Sono 13 cacciatorpediniere, 2 incrociatori leggeri e 6 incrociatori pesanti. Missione: sorprendere la Royal Navy e bloccare i rifornimenti per le truppe di sua maestà stanziate in Nord Africa. Lo stato maggiore dell’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, ha decifrato gli ordini di Supermarina già da 48 ore. Inoltre un aereo vedetta inglese, appena intravista la formazione, è tornato alla base per fare rapporto.
Alessandria pullula di spie, per evitare sospetti Cunningham va a giocare a golf, per poi imbarcarsi di soppiatto all’imbrunire sull’ammiraglia di una squadra composta da una portaerei, tre corazzate, sette incrociatori e 16 cacciatorpedinieri. Scommette con il suo comandante in seconda (solo 10 scellini, da buon scozzese) che non avrebbero avvistato navi italiane. E invece la mattina dopo i 10 scellini passano di mano. Parte la caccia, e il Vittorio Veneto viene colpito. Supermarina è stata chiara: senza effetto sorpresa si sospende la missione. Inizia la ritirata, l’ammiraglia ferita al centro della formazione. Gli aerosiluranti inglesi, strenuamente contrastati dall’antiaerea navale, hanno il dominio dell’aria per tutto il pomeriggio.
Il Pola copre il fianco destro dell’ammiraglia. Alle 19:50 la nave sobbalza, come colpita da un mostro marino. Un aerosilurante ha fatto centro. Salta l’energia elettrica. Il Pola si ferma, osservando il resto della squadra allontanarsi nelle tenebre. Mezz’ora dopo l’ammiraglio di squadra Iachino invia in soccorso del Pola, sperando di rimorchiarlo, l’intera Prima Divisione Incrociatori.
A quei tempi il sonar è un desiderio proibito per la Regia Marina, che di notte, semplicemente, non può combattere. La Royal Navy ne ha due. Uno è sulla corazzata Valiant, che così rileva il Pola. Purtroppo, il sonar scorge anche l’arrivo degli incrociatori Fiume e Zara. Non pare vera, tanta generosa abbondanza. Assieme alla Warspite e alla Barham, si mette in posizione di tiro. È una carneficina. I più fortunati, dilaniati dalle cannonate, muoiono sul colpo.
Molti finiscono nelle acque gelide. Mentre braccia gambe e teste mozzate rotolano sul bastimento del Fiume, un marinaio strappa un pezzo di tela dalla copertura di una mitragliera e scrive:
“Regia Nave Fiume. Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, via Eremiti 1, Salerno. Grazie signori. Italia!”.
Inserisce il messaggio in una bottiglia, sigilla con la ceralacca, la lancia in mare e affonda con la nave. Dopo 11 anni quella bottiglia, per la commozione dell’intera Italia, approdò sulla spiaggia di Villasimius.
C’è anche chi, pur con l’acqua alla gola, ha la speranza nel cuore. Araldo Caprili è un ventenne livornese che ha abbandonato affetti e un posto in squadra al Pontedera, Serie C, per servire come marinaio sul Pola. Era un difensore, e ora, nell’acqua gelida, circondato da cadaveri galleggianti, cerca per ore di difendere altri naufraghi trascinandoli a nuoto verso le zattere, strappandoli da famelici pescecani che sembrano grotteschi ausiliari inglesi. Alle 3 il Pola è affiancato dall’incrociatore Jervis. I superstiti da naufraghi diventano prigionieri. Alle 4 il Pola viene affondato. Gli abissi inghiottono tre incrociatori, due cacciatorpediniere, 2331 uomini, le velleità italiane sul Mediterraneo.
Caprili però è vivo. E si chiede sconsolato: «che ne sarà di noi?». La risposta non tarda ad arrivare. L’impero britannico sta morendo, ma ha ancora a disposizione le sue colonie. Le sfrutta per qualsiasi cosa, anche per piazzarci ospiti in esubero. Caprili, dopo un interminabile viaggio su nave e rotaia, arriva in capo al mondo. C’è un cartello con scritto la località.
Campo di concentramento di Zonderwater. In boero significa “senz’acqua”.
È stato inaugurato proprio in quella primavera. Siamo nel Transvaal, non lontano da lì a inizio secolo era stato trovato il diamante più grosso del mondo, ma l’unica cosa che importa ai primi 10.000 prigionieri arrivati in zona è che l’Italia dista circa 11.000 chilometri. Quattro blocchi, 2000 posti cadauno divisi per tende da 8. «Ma questo campo è decisamente in sovra prenotazione», dice a Caprili un nuovo amico. Si sono conosciuti sul treno, e condividono la passione per il calcio. È Giovanni Vaglietti, 21 anni da Settimo Torinese.