Vittorio Pozzo, il Metodo e le legioni romane
Se la tattica calcistica è specchio delle tattiche belliche.
Sono le tre di pomeriggio di lunedì 4 novembre 1918. Tra i molti soldati ebbri di gioia per la fine della guerra vi è un trentaduenne tenente del 3° Reggimento Alpini. Si chiama Vittorio Pozzo, è un appassionato di sport e in gioventù ha studiato in Inghilterra, dove ha appreso i rudimenti del football e le primordiali tattiche di gioco. In guerra oltre a fare il pieno di orgoglio patrio e a imparare a guidare i sottoposti con rigore e rispetto, apprende che la tattica corretta comandata al momento giusto fa la differenza tra la sopravvivenza o la morte di migliaia di soldati, tra vincere e perdere una guerra.
Più di tutto, si convince che la tattica dev’essere il modo per soddisfare le necessità del soldato, non i desideri del comandante. Sopravvalutare o sottovalutare le proprie forze è mortale, e il modo più semplice per evitarlo è dare ai combattenti ordini più consoni possibili alle loro capacità, al fisico, all’esperienza e persino al loro morale. Finita la parentesi bellica torna sui campi di calcio, e si convince che gli schemi anglosassoni non sono replicabili in Italia. Qui le gambe sono troppo corte e i polmoni troppo piccoli per il kick and run anglosassone.
Decide così di fare qualche ritocco al dispendioso 2-3-5 della Piramide di Cambridge, un sistema pensato per premiare l’iniziativa del singolo, per dimostrare che il calcio è affare di gentiluomini, un gioco di bravura e talento individuale dove l’attaccante di turno parte verso la porta con la stessa disposizione d’animo con cui il cavaliere medievale si lancia in resta in un torneo.
Pozzo non è convinto. Ci riflette su, e decide di arretrare due dei cinque attaccanti davanti la linea dei mediani. Allarga un po’ la posizione delle due ali attorno al centravanti. È la nascita del Metodo. È l’inizio di un percorso che porterà all’Italia due Coppe Internazionali, un oro olimpico, due Mondiali. L’italica attitudine di perfezionare usanze altrui esiste d'altronde da ben duemila anni. I romani furono maestri nel fare loro le le tecniche nemiche. Dalla disfatta di Canne per mano di Annibale appresero l’importanza dello sviluppo orizzontale della disposizione delle truppe per evitare di essere circondati e intrappolare a loro volta il nemico.