👋 Via Mancini dall'Italia, rivogliamo Balotelli!
✉️ Oggi parliamo delle folli convocazioni di Mancini e di un ritorno necessario di Balotelli in Nazionale, per salvarla dal piattume in cui si trova. Siviglia-Roma, sfida tra tifoserie imperiali.
Abbiamo dato un'occhiata stanca alle convocazioni in nazionale di Roberto Mancini per le prossime partite (dal 15 giugno le finali) di Nations League - mai competizione fu più nefasta. Siamo stanchi, si gioca troppo. Noialtri già guardavamo all'11 giugno come al primo giorno dopo la fine della scuola, all'ultima campanella prima del mare, del sole e dei gelati. Alle canzoni dell’estate, così leggere e spensierate. E invece, c'è la maledetta Nations League a tenerci ben saldi sul crinale dell'attualità. C’è la Nations League a tenerci incollati sul divano tipo Alex in Arancia Meccanica.
Ma in questa stanchezza, c’è qualcos'altro. C’è come un ricordo, sbiadito e lontano nel tempo, eppure solido come le radici che non gelano: c’è Super Mario Balotelli che esulta tipo Golem dei Pokemon contro la Germania agli Europei. Poi, subito dopo, ecco un’altra sinapsi darci l’immagine: l’intervista di Balotelli in diretta Instagram, di molti anni successiva, dove chiede a Mancini di essere considerato.
Figuriamoci, per uno che ha preferito Leonardo Bonucci a Nicolò Casale o Alessio Romagnoli (miglior coppia centrale in Serie A per statistiche, per non parlare di quel Provedel anche lui lasciato a casa nonostante il record di clean-sheet nella storia del campionato), convocare Balotelli significherebbe ‘spaccare lo spogliatoio’, fare una mossa alla Ted Lasso (con Jamie Tartt, spoiler alert). Che povertà d’animo signori, quanto illuminismo e quanto poco romanticismo in questa che più che una nazionale sembra un club - Retegui, con tutto il rispetto, ma chi sei?! Questa Nazionale deve recuperare ancor prima del talento la faccia tosta dei suoi interpreti, allo stato attuale delle cose niente più che molluschi.
Domenico Berardi (Sassuolo), Federico Chiesa (Juventus), Wilfried Gnonto (Leeds), Ciro Immobile (Lazio), Giacomo Raspadori (Napoli), Mateo Retegui (Tigre), Mattia Zaccagni (Lazio): questi i convocati di Mancini. Ci viene da piangere.
Mario, non essere triste. Ma che ti frega delle tristezze? Non l'hai ancora capito che i grandi non inseguono la fama, ma la ricevono per elezione? Perché vuoi mostrarti – o persino essere, orrore – maturo? Non l'hai ancora capito che noi ti abbiamo amato proprio per questo? Tu eri la nostra cicatrice fatta al campetto da bimbi, eri una direzione sbilenca, disordinata, ma proprio per questo rassicurante. Eri le sigarette nel pre-partita quando mamma, papà e il mister ci avrebbero voluti belli puri e buoni. Eri la litigata col compagno che poi diventerà il nostro amico più fidato.
Eri un talento così splendente da non necessitare di alcuna 'prova', figuriamoci di 'continuità' sul campo. Ma quale continuità, ma quale prova? Mario tu hai scelto la vita, e noi abbiamo scelto te. L'esemplarità à la Mancini ci è sempre sembrata sospetta: chi sbaglia, invece, non ha niente da nascondere.
Jünger e Heidegger a Wembley
«Il fatto che stiano assistendo tutti a questa partita è impressionante. Si può ben dire che la mobilitazione è davvero totale. Come reagirebbero tutti gli abitanti del pianeta se d’improvviso si sospendesse questa sfida?».
È 3 a 2 per gli inglesi. La Germania non si riprende. L’Inghilterra si porta sul 4-2, ancora con Hurst. Il rito collettivo della finale mondiale si conclude con una sconfitta. «È brutto perdere con gli inglesi», ammette Jünger. Una nuova Somme. Una nuova Africa o un fronte russo. Gli scontri mondiali non sembrano fatti per la Germania. La filosofia si fa campo da gioco e ritorna in sé arricchita e complessa. Intanto però quel pallone non è chiaro quanto fosse oltre la linea.
Un articolo di Massimiliano Vino.
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Chi va a prendere il pallone sotto la macchina?
Quando si è grandi, il tempo è sottoposto al tempo. Vale a dire: quello che noi facciamo è sempre misurabile, misurato, contenuto in uno spazio temporale determinato. Ora faccio questo, ora quell'altro. Ma da piccoli, il tempo propriamente non esiste.
Può capitare ad esempio di giocare al campetto dalle 15 di pomeriggio alle 19.37 di sera, quando solo la responsabilità (anch'essa temporale) dei genitori ti priva dell'ultimo istante di felicità.
E correndo e danzando, sotto casa o al campo del quartiere, a scuola o per le vie della città, col pallone tra i piedi sempre, l'inconveniente ti riporta dentro il tempo. Una macchina, lì appostata, è come la divinità meccanica che inghiotte il sogno, spegne per un attimo la spensieratezza e arrestando la contesa, la priva del suo carattere giocoso. Come? Divorandosi il pallone come Chronos coi propri figli.
Siviglia-Roma, sfida imperiale
Siviglia-Roma non è stata solo la più lunga finale europea della storia del calcio, né una delle più affascinanti per storia delle squadre in campo e tradizione delle due tifoserie, da sempre calorosissime in casa e in giro per il mondo al seguito dei propri beniamini. Siviglia-Roma è stata la finale delle due ‘coreografie gemelle’.
Certo, i giallorossi, portando il nome della città che ha conquistato il mondo, ne avevano maggiore diritto, ma quelli del Siviglia, giocando proprio sulle suggestioni di un avversario simile, hanno pensato bene di ‘tradurre’ quel dominio (politico e culturale) in termini sportivi - e il risultato di fine partita gli ha dato pure ragione. Così la Biris Norte, che è vagata per le vie di Budapest indisturbata fino all’affronto dei tifosi ungheresi del Ferencvaros (per antiche storie tese), ha scritto ‘IMPERIUM NOSTRUM’ con uno pseudo-Giulio Cesare a dominare l’Europa League, vinta dopo i rigori per la settima volta (primo trofeo nel 2006).
La Sud giallorossa invece ha omaggiato i ‘FIGLI DELLA LUPA’, non senza qualche difficoltà nella resa visiva (dove è scomparsa la F) per via dell’affollamento del settore profondo sud, il più caldo del tifo giallorosso. Quel settore, che aveva iniziato meravigliosamente la propria partita con una prestazione canora degna del tifo romano, si è smarrita per (queste sì) storie tese tra gruppi, fino alla rimozione della pezza dei Boys a inizio secondo tempo. Non a caso è arrivato il gol del pareggio del Siviglia, che ha cambiato il match e l’inerzia della partita.