Diceva Coleridge che la fantasia è «una volontaria sospensione dell’incredulità », e così Fellini aggiungeva che «niente si sa, su tutto si immagina». Sperare, credere, fantasticare, non significa però essere ingenui. Al contrario, è vivere la propria umanità fino in fondo. E cosa sono i tifosi se non guardiani della fantasia, custodi di una fede – si è detto più volte –, innamorati persi? Cosa è il tifoso se non un sognatore? Essere tifosi significa precisamente – certo, non sempre volontariamente – credere l’impossibile, sperarlo e amarlo, quindi inseguirlo come fosse una missione, la propria stessa esistenza.
L’impossibilità sta nel fatto che la propria squadra possa vincere. Nel calcio, infatti, perlopiù non si vince. Certo, se tifi Real Madrid o City il discorso cambia, ma la legge rimane tanto forte quanto più porta alla conseguenza opposta: chi troppo vince prima si stanca. E quindi: essere tifosi significa rimanere nel sogno. Non però senza alcuna speranza, che altrimenti si cade in depressione o, peggio ancora, nel distacco apatico – la condizione di chi anziché vincere sempre non vince mai. È quanto sta accadendo ai tifosi del Torino, in un silenzio generale e inquietante ma tutt’altro che inspiegabile – se è vero, come è vero, che Cairo controlla buona parte o comunque una parte assai rilevante dell’informazione critica calcistica in Italia [1].
Sul Napolista, Massimiliano Gallo ha scritto, di recente, che «eliminare il sogno vuol dire inaridire l’essere tifosi. La siccità . I tifosi del Torino sono prigionieri. Senza alcuna possibilità di conquistare la libertà ».