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Perché gli italiani non tifano la Nazionale?

Perché gli italiani non tifano la Nazionale?

Una questione insieme storica e culturale, che va ben al di là del calcio.

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Rivista Contrasti
giu 18, 2024
∙ A pagamento
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Perché gli italiani non tifano la Nazionale?
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Incontrarsi coi propri amici per tifare la Nazionale è un po’ come vedersi a Capodanno. Magari senza lo stress che ne caratterizza la preparazione, ma la situazione rimane analoga: a nessuno va davvero di tifare la Nazionale, un po’ come a nessuno va davvero di festeggiare il Capodanno. Ma entrambe le occasioni sono belle, persino catartiche, se l’evento non diventa che una scusa per stare insieme. In fondo, si potrebbe quasi dire che tifare insieme la Nazionale è come tifare insieme il club di appartenenza. Non è così, naturalmente.

Innanzitutto, quando è che tifiamo – meglio, ci interessiamo a – la Nazionale? Sempre sempre? Perché tifiamo la Nazionale? Davvero ci interessano, costantemente, i destini degli azzurri?

Ora questo fenomeno, questa sofferenza sottaciuta, questo sorriso a denti stretti che si accompagna al tifo per gli azzurri, e persino questo fastidio a volte esplicito quando le partite della Nazionale interrompono la routine calcistica settimanale della nostra squadra del cuore, non va da sé. Criticare la Nazionale, spesso con toni eccessivamente astiosi, o passare dall’esaltazione più totale – quella che ci porta a festeggiare per un’estate intera una vittoria continentale – alla depressione più cupa – da quanto è che non giochiamo un Mondiale, maledizione? – è un fenomeno che gli italiani condividono con pochi altri popoli nel mondo.

Da cosa dipende tutto questo? Perché ci viene così difficile tifare la Nazionale e sentirci fieri anche nelle sconfitte? Perché ricordiamo con un sentimento di pudore straniante la tristezza collettiva, e quindi nobile, seguita all’uscita dagli Europei del 2016 con Conte, o dopo il rigore di Roberto Baggio a Pasadena nel 1994? Perché, nonostante tutto l’amore che proviamo per il nostro club, il Mondiale del 2006 e il trionfo dell’82 rimangono due eventi cruciali nella scala Richter della gioia tricolore (non solo calcistica)? Su quali radici poggia l’attuale bipolarismo patriottico del popolo italiano?


«È difficile commemorare la nascita dello Stato unitario perché l’occasione esige che se ne racconti la storia. Quale storia? Non esiste più, sembra, una storia comune degli italiani. Quelle degli Stati preunitari non sono insegnate nelle scuole. Quella nazionale è generalmente contestata o taciuta. Come si fa a celebrare la nascita di uno Stato nazionale senza raccontarne la storia?».

S. Romano, Vademecum di Storia dell’Italia Unita, Rizzoli 2009

Che l’Italia sia un Paese internamente diviso dipende anche ma non primariamente dalla sua giovane età. Ci si potrebbe chiedere, e qualcuno lo ha fatto [1], come mai il vocabolo “comune”, nella Storia d’Italia, rappresenti – fatto eccezionale – a livello politico l’esatto contrario di ciò che esso significa sul piano linguistico: e quindi divisione, scontro, particolarismo, guerra.

Un fenomeno che a livello calcistico è facilmente riscontrabile in quel campanilismo ancora così presente oggi nel nostro Paese: «si mette sempre al primo posto il club. Questo ci ha reso unici in Europa, a livello di tifo, ma non solo. Se rimaniamo nel tifo, comunque, è chiaro che, per quanto in Europa provino a copiarci, nessuno ha questa peculiarità di differenze e rivalità così radicate tra regioni, paesi e città», ci ha detto Simone Meloni.

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