Non tutti i Kevin Behrens indossano un mantello
Un nuovo episodio dell'Angolo del Brasile.
Buongiorno a tutti, signori cari! So che in apertura vi dovevo un’ermeneutica dello spot Amazon, così si diceva settimana scorsa. Uno spot denominato ‘Concrete jungle’ e che mi aveva suggerito il caro C.M., scopritore di talenti, di mostri e navigato pescatore negli abissi del mondo nuovo occidentale, ma uno spot che ormai è stato ampiamente diffuso su televisione e internet, più o meno tagliato, normalizzato come se nulla fosse. Una piccola riflessione comunque, ma non prima di averci buttato un occhio.
Gli elementi ci sono tutti. Il protagonista: una ragazza mixed-race, sola e sradicata come il nuovo mondo immagina il suo consumatore ideale. Il luogo: una metropoli impersonale e tutta uguale, tra palazzoni grigi e impenetrabili metro oscure, in cui il consumatore/lavoratore viene spinto tipo istinto del gregge o effetto bandwagon perché ci vanno tutti, la gente dice che c’è lavoro e allora prenditi un tugurio fuori città dal quale esci all’alba e torni dopo il tramonto, gira come un criceto nella ruota, ingranaggio del sistema, fatti sfruttare da una società di servizi che non servono a nessuno o peggio vendi l’anima ai diavoli di consulenza, Dio ci liberi dalla consulenza, ma poi consulenza de che, vado ai pazzi, vabé torniamo a noi.
Le peripezie: la ragazza che va nella metropoli, cuffie nelle orecchie e trolley in mano, in cerca di fortuna. Lo spannung, il momento di massima tensione: lei che vede una serie tv e le manca la casa, la mamma, la nonna, il mondo reale, il verde, il … vabé non lo so cos’altro le manca, e quindi lo scioglimento, con lei che sboccia come le piante che ordina su Amazon a ripetizione con tanto di spray e vasi, spendendo i pochi soldi che le saranno rimasti, e si crea una irriducibile e rigogliosa singolarità nel grigio palazzone a mille piani tutto uguale.
Praticamente la raffigurazione plastica del principio “arreda il tunnel”, né più né meno, ormai la nostra guerra l’abbiamo persa mentre loro l’hanno vinta, dal tunnel non si dà uscita, ne s’échappe pas de la machine nulla sfugge alla macchina, non si esce dalla catena di montaggio come qui abbiamo abbondantemente ripetuto e allora cazzo, tanto vale arredarlo quel tunnel. La cosa geniale è che nel farlo il sistema ti dice pure che sei speciale, tutti devono vederti e ammirarti perché be different, così ripetono le multinazionali del vestiario, del cibo, dello streaming, cioè se ci pensate è visionario perché gli stessi che ci vogliono tutti uguali tutti con Prime Spotify Nike tutti con gli stessi vestiti gli stessi stili le stesse applicazioni lo stesso immaginario ebbene per ottenere questo ci ripetono sii speciale esprimiti fregatene degli altri just do it sii te stesso come se poi esistesse un se stessi e non fosse mediato da propagande varie e modelli imposti, comunque loro dicono esprimiti tipo a milioni miliardi di persone e noi facciamo le stesse cose di milioni miliardi di persone pensando davvero di esprimerci e di essere unici e irripetibili. Capolavoro.
È il capolavoro del sistema, tipo quando il capitalismo ha deciso che avrebbe dovuto farsi un make-up di ‘sinistra’ così da prosciugare l’opposizione e prendersi tutto, tingersi di green e arcobaleno. Tipo quando ti dicono di esercitare il pensiero critico e poi ti spiegano quali canoni deve rispettare e da quali premesse deve partire.
Per questo non posso far altro che rispettare e apprezzare Amazon per l’onestà, quante volte ci eravamo ripetuti tra noi ste cose che direbbe pure il ministro Giuli “eh loro vogliono un consumatore che sia sradicato senza identità a cui piazzare i loro prodotti perché il mercato vuole tutti individui plasmabili”, anzi lui la direbbe tipo “nella rivoluzione palingenetica inaugurata dalla big companies inclusive globali, che prevede un nuovo tipo umano, monade slegata e dispersa nel transumanesimo imperante, il consumo diviene una categoria metafisica che riposa su un rimodellamento, e svuotamento, delle weltaschauungen tradizionali”, comunque come lo diciamo lo diciamo loro l’hanno fatto, aggiungendo anche il tocco della nonna o almeno credo sia la nonna vabé, classe pura, tipo i concorrenti a Masterchef che ormai hanno capito il trick, il business dell’autenticità, e allora tutti a tirare per la giacchetta nelle loro creazioni gastronomiche le nonne ormai cadaveri e putrefatte che gli hanno insegnato l’amore per la cucina, il rispetto dei prodotti, il gusto dei sapori autentici. Solo mia nonna era una stronza e non mi cucinava mai niente.