🥶 Ma quale Nicolato, in Italia è morto il talento!
✉️ Oggi parliamo dell'ennesimo disastro azzurro (Under21, nel caso specifico), ma anche dell'assurda legge sul numero 88, di Bublik, Riquelme, Marquez e Parisse.
Sarà che avendola commentata e amata più di ogni altro, Riccardo Cucchi sa bene come parlare della - e alla - nostra Nazionale. Ma nelle sue parole ritorna sempreverde un concetto da noi espresso a più riprese, eppure ancora poco battuto da una stampa pigra in quanto generalista. Mancini, si dice, ha ragione da vendere quando denuncia il mancato - o eccessivamente leggero - utilizzo dei ‘nostri giovani’ (manco fosse un pollaio) nel più importante campionato nazionale. Si dimentica, il Mancio, che gli allenatori tutto sono meno che masochisti. Evidentemente, in Italia il talento scarseggia o - horribile dictu - non c’è proprio. La Nazionale maggiore è scadente, e le convocazioni dei Retegui - o peggio ancora, di rimbalzo, dei Pafundi - ormai Mancini si diverte a fare il pifferaio magico - non sono che le due facce di una stessa moneta.
Cucchi è partito dal semplice dato di fatto che «per la quarta volta consecutiva [l’Italia è] fuori dalle Olimpiadi. È questa la sconfitta che fa più male. È la continuità dell'insuccesso il dato preoccupante. Sedici anni senza giochi olimpici. Un movimento che non riesca a centrare l'obiettivo olimpico con tale metodicità ha il dovere di interrogarsi, capire, cambiare. La Nazionale under 21 italiana ha vinto 5 titoli europei. Vanta, con la Spagna, il maggior numero di successi. Hanno indossato quella maglia, negli anni, Totti, Nesta, Cannavaro, Albertini, Buffon, Vieri solo per citare alcuni dei calciatori che hanno poi alimentato la squadra maggiore.
Manca il talento a questa generazione di buoni calciatori allenati alla tattica più che ai fondamentali e alla fantasia, alla gioia di giocare divertendosi e divertendo. Questo è, a mio parere, l'aspetto più triste del calcio delle nostre nazionali. Immaginare un futuro senza un radicale cambio di passo mi sembra davvero difficile. Mi auguro di essere smentito».
Troppo buono, Riccardo. Combatti!, direbbe qualcuno. C’è da combattere per il futuro della nostra nazionale, o nel giro di qualche anno ci ritroveremo ad essere una Norvegia qualunque (e la vittoria dell’internazionale per niente italiano Lecce primavera dovrebbe farci riflettere, in questo senso). La verità è che Cucchi ha scritto una cosa sacrosanta, parlando dell’aspetto tattico onnipresente a detrimento del talento individuale, della giocata estemporanea, del guizzo che da sempre ha contraddistinto il nostro calcio. Ecco forse qual è il vero punto preoccupante: i nostri giocatori sono tutti ordinati, precisi, puliti, ma mancano le teste di cazzo, i giocatori tosti, gli sbruffoni (Mario, o Mario, cosa dissero di te o Mario?!).
Manca quello che tiri una sberla da 35 metri rischiando di fare una figuraccia, manca il dribblomane e manca il fantasista. Siamo diventati il Sassuolo delle nazionali, senza arte né parte. Che tristezza. Così, mentre la FIGC si vanta di aver concluso con il Governo un accordo ‘educativo’ sul divieto del numero 88 sulle magliette dei calciatori, abbinato a visite guidate sui luoghi della Shoah delle squadre di calcio italiane, le vere riforme e i veri cambiamenti rimangono in soffitta. In attesa dell’ennesimo fallimento calcistico: un evento al quale ci stiamo tristemente abituando.
L’inutile divieto del numero 88 (e gli altri 12 punti)
🚫 Il divieto di indossare la maglia numero 88 per "richiamo esplicito all'ideologia na*ista" ha (comprensibilmente) provocato le irone di molti. Ma questo era solo uno dei 13 punti con cui il calcio e la politica italiani si sono impegnati nella lotta all'antisemitismo.
✍️ L’articolo di Beniamino Scermani.
🎾 Aleksandr Bublik, condannato al Tennis (di M. Larosa)
🏍️ Chi siamo noi per giudicare Marquez? (di G. Cunial)
⚽ L’inutile addio al calcio di Riquelme (di V.A. Amendolara)
Ciao ‘Vincenzino’ 🦅
Si è spento ieri sera all'età di 68 anni Vincenzo 'Vincenzino' D'Amico. Il suo calcio era lieve come una piuma, ma tagliente come una spada. In campo D'Amico danzava, e la qualità delle sue giocate – che ne facevano un 10 purissimo – faceva risaltare, sub contrario, il fisico minuto.
Con la Lazio ha vinto uno Scudetto a 19 anni, nel 1974, e con i suoi idoli Chinaglia e Maestrelli è cresciuto in personalità e carisma, diventando capitano e bandiera della Lazio. Da commentatore sportivo, poi, non ha mai risparmiato la lingua, segno di un carattere forte e deciso, che rigettava il compromesso e amava lo scontro. Come accadeva in campo, spesso vinceva lui.
¡El Escudo de todos!
🟥 Con una votazione plebiscitaria di oltre 61mila soci Colchoneros, i tifosi dell'Atletico di Madrid hanno votato sul sito del club per abbandonare il nuovo stemma (a destra, introdotto nel 2017) e tornare al vecchio (a sinistra). Il voto non era vincolante ma, vista la partecipazione, il club ha fatto sapere che intende rispettarne il risultato.
«Nel caso in cui la vostra decisione sia quella di tornare allo stemma precedente, prometto che il cambiamento verrà effettuato il prima possibile, ovviamente rispettando i limiti dei nostri contratti di sponsorizzazione e licenza», aveva detto l'amministratore delegato Miguel Angel Gil Marin.
Una boccata d'ossigeno e uno sprazzo di umanità nell'asfissiante calcio contemporaneo, pensato e realizzato sistematicanente sopra le teste dei tifosi. Quando ancora c'è una comunità sportiva però, come nel caso dell'Atletico, e soprattutto la volontà di ascoltarla, il processo di sradicamento non sembra più così irreversibile.
Tuttavia, i tifosi non bastano. In questo caso sono scesi 'in campo' anche simboli e semplici rappresentanti del club: Koke, Saúl, Griezmann, Correa, Giménez, Gabi, Fernando Torres, Luis Suárez, Arda Turan, Raúl García è molti altri. Fino ai post di capitan Koke e del Cholo Simeone mentre indossavano la maglia con il vecchio stemma.
Lunga vita all'Atletico Madrid, un esempio e un'eccezione nel calcio contemporaneo; laddove milioni di tifosi, anche italiani, hanno assistito impotenti a stravolgimenti degli stemmi del club senza essere stati mai minimamente interpellati. La nostra speranza è che questo voto segni un precedente, e magari un nuovo (vecchio) modo di intendere il rapporto con i tifosi.