Le Montagne Rocciose costituiscono la dorsale che taglia da Nord a Sud la costa pacifica dell’America settentrionale. È una delle catene montuose più vaste del pianeta che si sviluppa dalla British Columbia fino al New Mexico, attraversando quasi 5.000 km, due Nazioni, otto Stati, influenzando il territorio e la vita di tutti i luoghi che tocca i quali, non a caso, sono conosciuti più semplicemente come Mountain States. Il più noto tra questi è senza dubbio il Colorado: the Higher State include le dieci cime più alte di tutta la catena montuosa, ma soprattutto la sua conformazione geologica l’ha fatta diventare il parco giochi invernale d’America.
Qui ogni anno milioni di americani si riversano tra le piste di Vail, Beaver Creek, Breckenridge, Copper e decine di altre stazioni sciistiche. Il riferimento urbano dell’area è la cittadina di Aspen: una località a metà tra un insediamento del Far West di estrazione mineraria, cui si deve la fondazione a metà Ottocento per via della famigerata corsa all’Oro dell’Ovest, e una località posticcia diventata celebre dal dopoguerra in poi. Una cometa artificiale che acceca la vallata, dove sembra sempre Natale e serpeggia quella falsa serenità tanto cara ai milionari che hanno deciso di investire nell’inaccessibile mercato immobiliare della zona.
A pochi chilometri da Aspen, nel piccolo villaggio di Woody Creek, con il suo nome esotico così tipico dell’Ovest che puzza di pionieri e sogni infranti, alle 17:42 del 20 Febbraio 2005, la quiete dell’inverno viene infranta da un colpo di fucile. In una stanza di quello che il suo proprietario aveva definito fortified compound, le cervella di un uomo imbrattano i muri. Accanto al suo corpo senza vita un biglietto d’addio, indirizzato alla moglie, recita:
La stagione del football è finita.
Niente più partite. Niente più bombe. Niente più camminate. Niente più divertimento. Niente più nuoto. 67. Cioè 17 anni oltre i 50. 17 in più di quanto avessi bisogno o desiderato. Noioso. Sono sempre maldicente. Niente più divertimento — per nessuno. 67. Stai diventando avido. Vivi la tua (vecchia) età. Rilassati — Questa cosa non ti farà male.
Cominciare dalla fine è un buon modo per iniziare a raccontare il padre del giornalismo gonzo. Da una parte il suicidio come atto estremo e finale bene si addice a chi la vita l’ha sempre vissuta fino in fondo e persino oltre. L’atteggiamento di chi ha superato ogni limite, fino al punto di non riuscire più a distinguere la realtà dall’allucinazione, fino al punto di non riuscire più a tornare indietro. Un’esistenza costellata di eccessi, diventata greve a causa di un’anca malconcia che lo costringeva spesso su una sedia e di una depressione cronica intensificata negli ultimi anni dalle sue precarie condizioni di salute e dalla vecchiaia: limitazioni inaccettabili per un iperattivo, avido di vita e di stimoli come Thompson.
Dall’altra però anche quel biglietto di addio, La stagione del football è finita, a sugellare anche in punto di morte il filo conduttore della sua esistenza. La vita e lo sport: un binomio non così sovente associato alla penna di Louisville.
La notorietà di Hunter S. Thompson, almeno nel nostro Paese, è legata principalmente all’interpretazione restituita dal suo grande amico Johnny Depp nella trasposizione cinematografica di quel capolavoro rivoluzionario di Paura e disgusto a Las Vegas (Bompiani, 1996), per la regia di Terry Gilliam. Sguardo allucinato, sigaretta accesa all’estremità di un bocchino metallico, cappello da pescatore e Ray-Ban shooter con le immancabili lenti aranciate a incorniciare lo sguardo vispo sopra una Chevrolet decappottabile rosso fuoco: sono queste le istantanee dal sapore pop che vengono associate a Hunter S. Thompson.