L'arbitro è morto, e noi lo abbiamo ucciso
Requiem per un mestiere condannato dalla società contemporanea.
Alcuni anni fa, uno studio della London School of Economics arrivava alla conclusione che, nell’arco di un paio di decenni, il 56% dei lavori in Italia sarebbe potuto scomparire a causa dei progressi dell’automatizzazione. Dati più o meno confermati da una ricerca di McKinsey Global Institute, secondo la quale il 49% delle mansioni svolte attualmente nel mondo potrà «essere automatizzata quando le tecnologie “correntemente sviluppate” si saranno diffuse su scala globale». È il grande tema del rapporto tra uomo e tecnologia, questione essenziale e decisiva della nostra epoca. Muterà il lavoro e con esso i compiti richiesti al lavoratore, che sempre più dovrà integrarsi con gli sviluppi tecnologici.
Questo sta capitando e capiterà anche agli arbitri, ma è solo uno dei motivi per cui la figura del direttore di gara è entrata in una crisi profonda e irreversibile.
A monte di questa crisi sta molto altro: la sfiducia, più o meno paranoica, nei simboli dell’autorità tradizionale, alimentata da un certo (e ormai sdoganato) populismo che fa degli arbitri la causa di ogni male; l’ideologia della trasparenza, delle sale VAR a vista, simbolo della grande e ottusa illusione del nostro tempo, quella mania del controllo per cui pretendiamo di dover sapere e vedere ogni cosa – pena lo sprofondo in un vuoto gnostico e asfissiante, un terrorizzante abisso nevrotico in cui tutto potrebbe accadere come una trama oscura alle nostre spalle; infine l’ideologia di giustizia e verità, che le masse del calcio rivendicano rabbiosamente neanche si stesse parlando di una formula chimica, un processo giudiziario, un appalto pubblico.
Sì ma a tutto ciò manca, potrebbero obiettare in molti, il nocciolo della questione: se c’è una ‘questione arbitri’ è perché parliamo di una classe arbitrale inadeguata e discussa, con ombre di corruzioni e favoritismi come quelli recentemente svelati da Le iene. Bene, l’errore sta proprio qui, ed è di prospettiva: quella attuale probabilmente è la classe arbitrale più trasparente (in relativo) della storia del nostro calcio. Eppure, ci appare il contrario e la ‘questione arbitri’ è più presente che mai. Come è possibile tutto ciò?