💉 L'antidoto a DAZN siamo noi tifosi
✉️ Oggi parliamo dell'ennesimo smacco di DAZN ai tifosi e agli appassionati, ma anche del 'vero' Romelu Lukaku, del mito di Varenne e di molto altro ancora.
Un giorno forse guarderemo al nostro passato con disgusto. Come abbiamo potuto far sì che tutto questo accadesse? I toni sono volutamente apocalittici, perché il contesto lo richiede. DAZN ha nuovamente aumentato i prezzi sugli abbonamenti, facendoli lievitare a cifre record per il settore (per maggiore chiarezza su tutta la questione in termini ‘tecnici’, rimandiamo all’articolo del nostro Matteo Paniccia uscito oggi su Contrasti). Ma insomma, pensateci bene: dov’è finita la nostra dignità? Dove, il rispetto per i soldi? Queste sono cose importanti, e il calcio non si vive solo in televisione - o, peggio, dallo schermo di un PC.
Torneremo ad ascoltare le radioline, ben venga. Torneremo a ‘immaginare’ un calcio tanto più sensazionale quanto meno fruibile. In una parola torneremo a emozionarci col pallone, per davvero però. Ecco allora che DAZN diventa un’occasione, per noi tutti, per cambiare pelle tornando a quella di vent’anni fa. D’accordo, il calcio è cambiato e se cambia il linguaggio cambia pure il significato, lo sappiamo. Ma lo stadio è ancora lì, amici. Certo, non per tutti è un sacrificio possibile, ma senz’altro è una strada. Le trasferte? Un incentivo in più per noi che sì, viaggiare. I costi, credeteci, sarebbero comunque inferiori.
Per il resto, però? Intendiamo dire: cosa accade con le partite del calcio estero? Cosa accade banalmente con la bulimia da fantacalcio che ci fa restare a casa di sabato alle 15 per vedere Frosinone vs Sassuolo? Amici: svegliatevi tutti. Uscite, amate la vita, urlate al mondo voglio vivere come cita Lo Straqen in una memorabile traccia di qualche anno fa. Ci perderemo qualcosa, ma torneremo a vivere magari. Questo concetto noi lo abbiamo smarrito, ma dobbiamo recuperarlo: il calcio è bello anche nel suo mistero, nel suo non-visto. Ma chi l’ha detto che dobbiamo vedere tutto e comunque, sapere - da vedere, in greco - tutto e ad ogni costo? No, il calcio è un fenomeno inizialmente gratuito. Non va stuprato, non va consumato: va accolto nella sua gratuità, appunto. Questo è un passo decisivo e difficile, lo capiamo: ma se non sarà la comunità di tifosi e appassionati a unirsi in questa battaglia (culturale e spirituale), come guarderemo al nostro passato? Con quali occhi getteremo un ricordo a ciò che è stato? Il calcio è nelle nostre mani.
Il vuoto profondo di Romelu Lukaku
✊🏾 È tremendamente ingenuo stupirsi dell'atteggiamento di Lukaku, con buona pace della tragicomica narrazione del “gigante buono”: un calciatore brand che ha sempre ragionato con la logica della brandizzazione estrema, voltato faccia dopo baci e promesse d'amore, più legato al denaro dei suoi stessi agenti d'immagine.
✍️ L’articolo di Jacopo Gozzi.
🐎 Varenne, una terribile bellezza (di J. Gozzi)
🦁 La discesa negli inferi del Brescia (di M. Metelli)
Si ritira dal calcio un amore perduto
🌎 C'è chi viene dalla strada e chi la studia. Giuseppe Rossi, chiamato Pepito da Enzo Bearzot per le 'similitudini' tecniche con Pablito, è senza dubbio della seconda specie. Nato a Teaneck, cresce nel New Jersey. È americano, ma è italiano. È italiano, ma è soprattutto americano. In che cosa? Naturalmente in quella cultura del self-made man che gli è stata trasmessa dai genitori, entrambi insegnanti di lingue. Studiosi della strada, come Pepito.
Ha viaggiato, Rossi, ha segnato tanto ma molto meno di quanto quel da-Dio-benedetto mancino faceva presagire quando a 17 anni Sir Alex Ferguson decise di chiamarlo alla corte più prestigiosa del globo eupallico: il Manchester United.
⚽ Dopo Paolo Di Canio (66) è il calciatore italiano ad aver segnato più reti nei top 4 campionati fuori dall'Italia (nel suo caso Primera Division e Premier League). In Serie A con Parma e Fiorentina ha illuso quei tifosi (tutti) che allo strabiliante talento dovevano presto contrapporre una fragilità fisica a quello proporzionale.
Si ritira ufficialmente dal calcio un amore perduto.
Intervista a Sport People, la voce dei tifosi
L’antropologo Gustave Le Bon, noto per i suoi studi sulle specificità delle masse, teorizzò che l’individuo in folla acquista un sentimento di potenza invincibile. Inoltre la folla è di per sé anonima, dunque irresponsabile. Il combinato disposto dei due fattori fa sì che l’individuo ceda a istinti che, se fosse solo, reprimerebbe. Oggi, evaporate le grandi pratiche e culture collettive, è difficile trovare una realtà che faccia del potere della folla la sua cifra distintiva più del mondo ultras.
Un movimento da decenni attenzionato morbosamente dai media e represso duramente dalle istituzioni. Movimento che vive, come la nostra intera società, un periodo complesso. Se tratteggiarne un quadro generale può risultare arduo per le persone al suo interno, per gli esterni è cosa semplicemente impossibile. L’ambizione di provare a capirne qualcosa in più ci ha portato a fare una chiacchierata con Matteo Falcone, direttore di Sport People, rivista online da vent’anni punto di riferimento del tifo italiano. Puoi leggerla qui.