🏛️ La Serie A Made in Italy e il calcio che cambia
✉️ Oggi parliamo delle 'illuminate' strategie marketing di De Siervo per vendere la Serie A all'estero, ma anche di Eziolino Capuano (da noi intervistato) e delle ipocrisie della narrazione sportiva.
Sta diventando francamente un po’ comica, almeno nei modi, l’ostinazione con cui la Lega Serie A sta cercando di rastrellare più fondi possibile. Tragicomica, a tratti. Prima con la nuova asta per i diritti televisivi, tra sdoppiamenti, pacchetti black friday, tre operatori e via discorrendo; ora con l’ultima mossa annunciata dall’ad De Siervo per incassare ulteriori 10 milioni, ma questi dal governo: rinominare all’estero il nostro campionato ‘Lega Serie A Made in Italy’.
«Abbiamo chiuso un accordo da 10 milioni a stagione con il Governo: il nostro campionato fuori dall'Italia si chiamerà Serie A Made in Italy», ha rivendicato l’amministratore delegato della Serie A, con orgoglio, in un’intervista al quotidiano spagnolo AS. Una nuova fonte di entrata sulle cui modalità, però, non si è sbilanciato. Dallo stesso governo filtra poco anzi nulla, e si vocifera che De Siervo abbia fatto un passo in avanti, annunciando un accordo che avrebbe dovuto essere reso pubblico in estate inoltrata, prima dell’inizio del campionato.
Ma al di là dei tempi, tornando alla ‘Serie A Made in Italy’, beh ci consentirete che il nome scade un po’ nel trash, tanto da far affiorare un leggero imbarazzo. Sarà pure che per assecondare il nuovo corso politico governativo, con l’etichetta Made in Italy piazzata un po’ ovunque – dall'ex ministero dello Sviluppo economico, ribattezzato Ministero delle Imprese e del Made in Italy, al nuovo ‘liceo made in Italy’ – la Serie A ha deciso di capitalizzare e valorizzare al meglio la sua italianità, però il marchio sul campionato, forse, avremmo anche potuto risparmiarcelo.
Poi c’è chi si lamenta (in modo piuttosto sterile) dal fatto che si tratta di fondi pubblici. Non è la prima volta però che il calcio italiano approfitta di fondi statali, e non sarà neanche l’ultima, considerata la centralità dell’asset-pallone, anche a livello industriale e commerciale, in Italia. Già negli anni passati la Serie A aveva incassato milioni, per la precisione dal Ministero degli Esteri, sempre per la valorizzazione delle eccellenze italiane. 10 milioni, di quelli si trattava anche allora, forniti dall’agenzia ICE (l’Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane) con campagne di sponsorizzazione e un progetto di promozione che coinvolgeva anche grandi (ex) rappresentanti del calcio italiano: da Totti a Del Piero, da Vieri a Nesta.
Certo allora non era servito cambiare il nome al campionato per l’estero, per di più in questo modo un po’ macchiettistico. Fatto sta che il calcio sta cambiando, lo ha ribadito anche de Siervo nella sua lunga intervista che ha svariato su tanti temi: dagli stadi e le città italiane ai diritti tv, dalla lotta al razzismo alla pirateria, dal confronto con gli altri campionati alla giustizia sportiva e al caso Juventus.
Quindi, centrale, il posizionamento sul mercato: «Abbiamo iniziato il percorso per recuperate la nostra posizione nella leadership internazionale. Stiamo creando un prodotto più interessante, di maggior qualità. Il tempo effettivo delle partite arriva al 66%, manca un 33% che dev’essere più attrattivo, per esempio con le telecamere che si usano al cinema. Competiamo contro Netflix e Amazon per conquistare il tempo libero della gente».
Che noia, sempre la stessa solfa, i medesimi concetti. Netflix e Amazon come concorrenti e il tempo libero da conquistare. Giustamente, loro ragionano da un punto di vista economico. Ma non si rendono conto che nel momento in cui avranno reso il calcio un prodotto commerciale tra gli altri, magari il miglior prodotto commercialmente immaginabile, nel momento in cui avranno abdicato totalmente alla logica di mercato, trattando il calcio come un qualsiasi altro spettacolo chiamato a intercettare i gusti mutevoli del pubblico, dello sport che ha fatto innamorare miliardi di persone, in ogni latitudine del mondo, rimarrà poco e nulla.
Su questo però non possiamo farci nulla, è l’economia sportiva di mercato che ci condanna; e una decrescita felice del nostro pallone, nel contesto in cui ci muoviamo, è assolutamente inimmaginabile. Potremmo almeno evitare di cambiare il nome del campionato all’estero, questo sì. Tra l’altro con l’etichetta un po’ folcloristica di italianità 100% ma scritta, ça va sans dire, in inglese.
Eziolino Capuano contro il mondo moderno
🌋 «Non c’è umiltà né riconoscenza in questo mondo. Vince chi lecca più il c*lo, sarà banale ma questa è la verità». Abbiamo intervistato Eziolino Capuano: lo specialone del calcio provinciale, l’allenatore delle imprese impossibili, l'uomo innamorato del pallone.
Oltre il personaggio per far emergere la persona: dalla strada al campo, dai social allo spogliatoio, da Dio alla politica. Augurando ad Eziolino altri 30 di questi anni: «Smetterò di allenare solo quando, la notte prima di una partita, inizierò a dormire tranquillamente».
💬 L’Intervista è di Michelangelo Freda.
Peppino Prisco, primo ufficiale dell’Inter (di J. Gozzi)
Lunga vita a Bobbi e Valsecchi (di G. Cunial)
L’ombra del doping sulle tragedie del nostro calcio (di R. Scarpellini)
Djokovic, Alcaraz e il tennis che verrà
La prima semifinale del Roland Garros è stata una partita incredibile, nel senso proprio di difficile da credere. Riassunto dei primi due set: Djokovic ha più tennis in testa, Alcaraz ha più tennis nelle gambe e soprattutto nelle braccia. Si dividono i set: Nole il primo, Carlos il secondo. Lo spagnolo, n.1 del mondo, tira forte come non ha mai tirato nessuno. Fa cose che non ha mai fatto nessuno e vince punti che non ha mai vinto nessuno (oggi ne ha messi a segno un paio surreali). Ha tutta l'esuberanza dei suoi 20 anni - pure troppa, considerato quanti punti (ormai vinti) perde solo per la sua foga di distruggere la pallina -, e del suo tennis cannibale e stratosferico.
Djokovic disputa un'ottima partita ma l'altro pian piano sale e, se si esprime al suo massimo, diventa ingiocabile per tutti, persino per il serbo. Non ha punti deboli tecnici: dritto, rovescio, recuperi, palle corte, servizio. Il tramonto del secondo set sembra quasi anche quello di Djokovic, o quantomeno delle sue possibilità di portare a casa il match in condizioni normali.
Poi, sul 1-1 del terzo set, Alcaraz si ferma in preda a crampi in ogni parte del corpo, dalle mani ai polpacci. Non riesce più a camminare, figuriamoci a correre. È la bandiera bianca sulla partita che poi si chiude con una striscia di 11 game a 1 a favore di Djokovic, nuovamente in finale a Parigi.
E però, va bene la tensione, ma come è possibile che il numero 1 del mondo, con uno staff di primissimo livello e una vita organizzata in ogni minimo dettaglio, possa arrendersi ai crampi dopo due set? Va bene la volontà di potenza e la difficoltà a gestirsi, ma tutto ciò fa sorgere alcune considerazioni. Può il fisico di Alcaraz sopportare un tale dispendio tennistico, atletico e muscolare? La risposta a questa domanda riguarda il futuro stesso del tennis: uno sport che Carlos Alcaraz è destinato a dominare, ma "solo" se integro fisicamente..
Luci dalla Svizzera Ultras, un movimento che cresce
Nel weekend calcistico che ha preceduto la finale di Champions (Super)League, abbiamo visto tante belle cose. Dai baresi in casa con più di 50.000 tifosi presenti al San Nicola per la semifinale di ritorno contro il Südtirol a quelli dell'Eintracht nella finale di Coppa di Germania contro il Lipsia. Parliamo in entrambi i casi di tifoserie dal seguito imponente, e ora che il Bari è a un passo dalla Serie A la piazza pugliese già sogna gli svariati esodi in tutta la Penisola pallonara (e noi con loro).
Ma l'immagine più suggestiva è senza dubbio quella che ci è arrivata da Berna, dove si sono affrontate Young Boys e Lugano per la finale di Coppa svizzera. Sul tifo elvetico è stato detto ancora troppo poco, e ci ripromettiamo di approfondirne le radici e la cultura. Intanto godetevi questa meravigliosa foto dal corteo dei tifosi gialloneri nel pomeriggio. Una ‘sfilata’ di migliaia di tifosi che, tra fumogeni, canti popolari e urla al cielo di Berna, hanno riempito di passione le vie di una città già di per sé affascinantissima.