«Io credo, risorgerò. Questo mio corpo vedrà il Salvator», cantavano – cantano ancora? – i tifosi dell’Hellas Verona a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila, ispirati dalle parole e dalla musica di Gino Stefani. Un inno liturgico, prima che un coro da stadio, dal carattere insieme sacro e profano, serio e dissacratorio, in pieno stile Hellas Verona, una fede troppo vera per non diventare scenica, di tanto in tanto.
Qui però il tema è piuttosto serio. La resurrezione non è certo dei tifosi Scaligeri in toto, loro che ci sono sempre stati con forme e modalità variegate e variopinte, ma dallo stile inconfondibile e coerente. No, il ritorno – meglio, il nuovo approdo – è quello del gruppo Hellas Army, che da cinque anni compatta tutti i tifosi veronesi in trasferta, ma che da quest’anno sarà presente anche in casa al Bentegodi.
Un passo importante, che sembra seguire quello di altre storiche curve – quelle di Milano e le due romane, ad esempio – nella condensazione dei vari gruppi e gruppetti sotto un’unica effige, un unico stemma, un solo nome. L’annuncio, tramite comunicato a mezzo stampa, è arrivato poco prima di Hellas v Napoli, trionfalmente terminata sul 3-0 per i padroni di casa.
Vi si legge che «l’idea dello striscione di tutti nasceva come spinta emotiva finalizzata a compattare i veronesi in trasferta con la conseguenza di stimolare il senso di responsabilità di ogni tifoso del Verona». Cosa è cambiato, adesso?