🌈 Gli arcobaleni dello scandalo
✉️ Oggi parliamo di diritti e cortocircuiti occidentali, di come nel calcio gli uomini pesino più dei calciatori e di un vecchio tifoso inglese che ha combattuto da solo contro cento olandesi.
Gli arcobaleni dello scandalo
Il calcio è metafora dell’esistenza, affermava sicuro il buon Sartre. Buon si fa per dire, che La nausea la fece venire lui a me, e di tutto l’esistenzialismo, a forza di quei pipponi sull’orrore di esistere. Comunque Jean Paul aveva le sue ottime ragioni, e senza spingerci così in là possiamo certo tutti convenire che il calcio sia un formidabile specchio della società: dei suoi mutamenti antropologici, culturali, politici. Sapete no, le cose che scriviamo su queste disgraziate colonne da anni.
Ma anche per quanto riguarda i cortocircuiti, il football può offrire uno spaccato niente male. Prendiamo Tolosa-Nantes, incontro di Ligue 1 disputato il 14 maggio. Per la “grande” occasione, ovvero la giornata nazionale contro l’omotransfobia che sarebbe scattata di lì a pochi giorni, la Lega francese ha deciso di tingere di arcobaleno i numeri sulle maglie delle squadre. E qui sono iniziati i problemi. Diversi giocatori musulmani, quattro del Tolosa e uno del Nantes, pur di non indossare le raimbow-shirts hanno rifiutato di scendere in campo. Tanto che lo stesso Tolosa, dopo aver rimarcato “il suo impegno di lunga data nella lotta contro l’omofobia e ogni forma di discriminazione”, ha dovuto specificare:
«In occasione della giornata internazionale contro l’omofobia del 17 maggio, il Tolosa Football Club e tutto il calcio professionistico si sono mobilitati contro l’omofobia durante questa 35esima giornata di Ligue 1. Tuttavia, i giocatori della squadra professionistica erano in disaccordo sull’associazione della loro immagine con i colori dell’arcobaleno che rappresentano il movimento LGBT. Pur rispettando le scelte individuali dei suoi giocatori, e dopo numerosi scambi, il Tolosa Football Club ha scelto di escludere i suddetti giocatori dall’incontro in programma questa domenica alle 15 allo stadio del Tolosa».
La partita si è poi conclusa 0-0 tra un pacco sospetto con annesso allarme bomba, che ha fatto slittare di un'ora e mezza il fischio d’inizio, e una semi-rissa negli spogliatoi. Una giornatina tranquilla. Ma a tenere banco, ovviamente, è stata la questione Islam anti-arcobaleno. Intanto lasciatemi dire una cosa, non vorrei essere nei panni vellutati della sinistra francese. Già me li immagino mentre si crucciano, alla ricerca disperata di una risposta: dalla parte di chi stiamo? Della liberta d'espressione degli islamici o della liberta di esistenza (e di propaganda) degli LGBTQIA+? Quale minoranza tuteliamo, e quale invece stigmatizziamo? Un bel grattacapo, compagni. Riflettiamo.
Ma non vorrei essere neanche nei tailleur della signora Le Pen e nei panni dei suoi: che si fa, il fronte con l’Islam – malgrado tutto – tradizionalista in nome della libertà di pensiero e soprattutto del contrasto alla propaganda arcobaleno o invece la difesa delle libertà occidentali contro gli uomini neri, musulmani cattivi che non si integrano? Roba da spaccare un partito, con i giovani rivoluzionari che ipotizzano improbabili sintesi eurorientali in nome dei valori tradizionali (Dio e famiglia) e i quadri del movimento che si schierano a difesa del way of live occidentale.
Un vero e proprio cortocircuito che ha messo in crisi tanti e, anche se parzialmente sciolto – la linea che va per la maggiore è stata schierarsi a difesa degli LGBT –, non ha avuto la forza di assumere conclusioni netti. Pensate invece se un calciatore francese, caucasico e cattolico, si fosse rifiutato di indossare la maglietta incriminata. Dio solo sa quante gliene avrebbero dette: troglodita, reazionario, sovranista, fascista, omofobo, illiberale, discriminatore e via discorrendo. Invece, avendolo fatto diversi giocatori musulmani (e non è la prima volta), a regnare è stato un imbarazzo generale: si sono pesate le parole, misurati i concetti. È stato tutto un "ma anche" veltroniano.
Che poi, detta tra di noi, cosa hanno fatto di male questi ragazzi? Un bel nulla. Non hanno attaccato nessuno, non hanno chiesto che la partita venisse rinviata né che la maglia fosse ritirata.
Semplicemente, per proprie convinzioni, hanno preferito non scendere in campo. Ma saranno pur liberi di farlo? Il problema è nostro, come al solito, che pretendiamo un’integrazione liquida in cui tutti quanti, felici e sradicati, rinuncino alle proprie identità per conformarsi ai valori occidentali. L’integrazione dei gessetti colorati e di Imagine suonata da un artista di strada al pianoforte, l’integrazione delle pubblicità della Nike e di Amazon con le varie gradazioni di colore dei suoi membri: un caucasico, un asiatica, un mediorientale, una centroafricana, tutti intenti a ordinare da Glovo mentre guardano una serie tv su Netflix. Altro che la (suprematista) famiglia del Mulino Bianco riunita al tavolo della colazione.
Comunque, tornando al punto, questa è una bella gatta da pelare. Gli stessi apologeti dell'inclusione, difensori ad oltranza di tutte le minoranze etniche e degli immigrati di terza generazione, si stanno pian piano rendendo conto che questi, in molti casi, di integrarsi non ne hanno alcuna intenzione. E che certi tratti per cui stigmatizzavano i fascisti – omofobia, estremismo, antisemitismo, rigidità religiosa o comunque valoriale, a tratti anche misoginia – li possono facilmente ritrovare in parte delle comunità islamiche.
Basta pensare che lo stesso Tolosa, due giorni dopo la partita incriminata, ha sospeso l'attaccante attaccante Zakaria Aboukhlal perché quest'ultimo avrebbe detto, riferito all'assessora allo sport e vice-sindaco della città Laurence Arribagé – la quale aveva chiesto ai calciatori di fare un po' meno casino per i festeggiamenti dopo la vittoria della Coppa di Francia (disputata sempre contro il Nantes) – insomma Aboukhlal pare abbia detto: “A casa mia le donne non parlano così agli uomini”. Casa sua, o almeno quella in cui è nato, sta a Rotterdam. Ai lettori le ardue sentenze.
In ogni caso, adesso come se ne esce? È il dilemma degli utopisti francesi, che speravano l'Islam fosse una religione agonizzante come il Cristianesimo occidentale, e che invece vive e prospera anche nelle banlieu transalpine. Ma senza sproloquiare di politica, resta il poblema: con chi stare? Fino a che non si lede la libertà altrui, per lo stesso pilastro che è alla base delle nostre società, si dovrebbe sostenere il diritto di libera espressione e decisione dei sei; a maggior ragione se questi non pretendevano che la comunità LGBT venisse marginalizzata o discriminata, solo non volevano associare la propria immagine a determinate rivendicazioni.
Eppure non è così semplice, tant'è che in pochi sono venuti in soccorso dei dissidenti islamici in tribuna.
In molti, poveri anzi ricchi illusi, contano che la cosa si riassorbirà con il tempo, con il passare degli anni. Sì, come no. Un'idea che può risultare credibile giusto a Capalbio o nel III arrondisement parigino. Nel frattempo, anno dopo anno, in Ligue 1 aumentano i mugugni e le rinunce a vestire i colori arcobaleno. I sonni tranquilli dell'Occidente sono finiti da un pezzo, ma noi ci imbottiamo di Xanax e ancora non lo sappiamo.
Prima o poi dovremo guardare in faccia la realtà, renderci conto che le grandi multinazionali – e anche la nostra piccola Serie A – per i giorni del Pride il proprio logo lo tingono di arcobaleno per gli account social europei ed americani, mica per quelli in lingua araba. E che i valori dell'Occidente, ammesso che esistano, non sono quelli del mondo. Dove sono nati Aboukhlal, Hamulic, Diarra e Mohamed, quattro dei sei sediziosi, a casa loro insomma, le cose non stanno proprio così. Dove sono nati, dite? Beh a Rotterdam, a Leiderdorp (sempre Olanda), a Stains (Île-de-France) e a Saint-Denis.
L’Euroguerra tra Real Madrid e Partizan Belgrado
“L’allontanarsi dalla tradizione, dalla religione e dalla famiglia porta sempre a conseguenze tragiche. Possano tutte le anime delle vittime della scuola Vladislav Ribnikar riposare in pace”.
È uno striscione esposto dalla Juzna Tribina durante gara 4 di Partizan vs Real Madrid, valevole per le Final Four di Eurolega. Che cosa era accaduto? Semplicemente di tutto, dentro e fuori dal palazzetto.
Questo è il racconto di Lorenzo Serafinelli.
Il modello sano del Frosinone Calcio (di M. Paniccia)
Il suicidio perfetto dell’Hellas Verona (di L. Fabiano)
Il Manchester City è una squadra perfetta (a cura del direttore A. Antonioli)
Sono gli uomini a fare i calciatori
Mesi fa Mourinho, a proposito di uomini forti e leader, ha raccontato un aneddoto indicativo. Ai tempi del Porto, in una partita che la sua squadra stava perdendo per 2-0 a fine primo tempo, lo storico capitano Jorge Costa anticipò l’allenatore negli spogliatoi:
«‘Mister, resta fuori e aspetta due minuti’. Lui entrò, chiuse la porta e fece il lavoro sporco per me. Fece tutto quello che avrei voluto fare io. Vincemmo quella partita 3-2: lui era un difensore centrale, penso non avesse mai segnato un gol nella sua carriera, in quella partita ne fece due».
Un paio di minuti in cui saranno volati insulti, spinte, magari anche qualche ceffone. D’altronde quel Porto, di cui si parla solo in termini favolistici, vinse tutto perché era una squadra con le palle, non solo col talento. Allora non è un caso che Mourinho non si trovi a proprio agio con gli atleti influencer contemporanei, con i calciatori trapper del Tottenham, con una Snowflake Generation naturalmente portata al vittimismo, incapace di affrontare il conflitto.
Il carattere, non solo la tattica. La testa, non solo le gambe. Ma così una volta la pensavano tutti i grandi allenatori, ultimi dei quali Ancelotti e Sir Alex Ferguson, splendidi rappresentanti di quella vecchia scuola di gestori innanzitutto di uomini, prima che di calciatori. Scuola di cui Mourinho è un fantastico rappresentante moderno. Alla luce dei recenti risultati della Roma, vi riproponiamo un vecchio editoriale che, a nostro modo di vedere, spiega molto dello stato di forma (mentale) dei giallorossi negli ultimi due anni. "Una squadra fatta da uomini veri", come ha detto ieri sera Lorenzo Pellegrini. E per questo, ancor prima che per lo stile di gioco, una squadra arci-mourinhana. L'articolo integrale potete trovarlo qui.
Knollsy, o del ritorno dell’Inter City Firm
Anche i social, alla fine, hanno incontrato l’Inter City Firm. Quel filmone insieme filmaccio di Hooligans (2005), con protagonista Elijah Wood fresco interprete di Frodo Baggins nella trilogia de Il Signore degli Anelli, ha prima avvicinato la pop-culture al fenomeno degli hools d’Oltremanica. Poi, però, come un vortice che mentre attira fa svanire nel nulla le cose che sono, è nata una contro-narrazione volta a screditarlo: è dai tempi della Thatcher, si dice, che gli inglesi hanno smesso di essere duri e puri. La working-class che si spacca la schiena aspettando lo sfogo domenicale allo stadio? Un’enorme menzogna, nient’altro che letteratura. Ma noi di Contrasti, in questi anni, abbiamo mostrato l’ingenuità di una simile lettura. Il fenomeno hooligans in Inghilterra è più vivo che mai. Semplicemente, ha smesso di essere esposto alla luce del sole.
L’ultima dimostrazione, visiva e contenutistica, è arrivata nel giovedì europeo. Un giorno che, come spesso capita, regala grandi gioie ai cultori del tifo. In Conference, questa volta, dove Knollsy, ‘The Legend’, ha difeso la tribuna riservata ai parenti dei giocatori del West Ham United contro il vile attacco di decine di ultras olandesi (AZ Alkmaar) che avevano pensato bene di sfogare la propria rabbia per il risultato appena conseguito (West Ham in finale, AZ eliminato) non con sé stessi o i tifosi avversari, ma con le famiglie (mogli, anziani e bambini) dei protagonisti in maglia claret & blue.
Freddie Bonfanti, che era in mezzo alla folla, ha scritto sui social:
“Knollsy the legend. Ha impedito ai tifosi di casa di raggiungere le famiglie dei giocatori. Siamo stati presi d’assalto dai tifosi dell’AZ. Knollsy ha recentemente subito una sostituzione dell’anca e semplicemente non poteva correre. È anche un uomo orgoglioso ed era sinceramente preoccupato per le famiglie dei giocatori del West Ham seduti intorno a noi. Ha fatto quello che doveva fare. Sono orgoglioso di definirlo un amico e felice che abbia bloccato quello che avrebbe potuto essere un incidente molto peggiore”.
per approfondire, leggi I TIFOSI DEL WEST HAM TRA STORIA E MITOLOGIA (di A. Imperiali)
“Eravamo seduti dietro la ragazza di Thilo Kehrer, continua il post di Bonfanti su Twitter. Knollsy era preoccupato per lei ed è andato in cima alla tromba delle scale, respingendo i tifosi dell’Alkmaar. È un uomo adorabile e ha fatto ciò che riteneva giusto in quel momento. Ha fermato quei tifosi”. Aggiungiamo noi, quasi da solo. Quasi, perché insieme a lui c’era un altro eroe col cuore a forma di martello. We are forever blowing bubbles.