Cosa sta accadendo alle due curve di Milano?
Indagine sul nuovo corso degli Ultras milanisti e interisti.
Si pensa, a torto, che i quattro vangeli canonici raccontino la stessa storia: quella della nascita, morte e resurrezione di Gesù di Nazareth. In realtà ogni evangelista racconta quell’Evento dalla propria postazione, con il proprio stile e la propria storia personale. Marco è più essenziale, Luca più storico, Matteo più catechistico, Giovanni più filosofico. Eppure, in questa varietà di fonti, stili e interpretazioni, sono presenti alcuni parallelismi. Uno dei più importanti è il celebre episodio della ‘cacciata dei mercanti dal tempio’.
Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!». [1]
Quando un fatto come questo torna in tutti e quattro i testi, gli esegeti si fermano e riflettono, arrivando unanimi ad una conclusione di carattere generale: il parallelismo tra quelli indica che l’episodio a) molto probabilmente è accaduto e b) è straordinariamente importante. In questo caso, lo è nella misura in cui tocca il cuore dell’annuncio evangelico: la fede e la conversione del cuore, lì macchiati da chi ne usa la forza spirituale per rendiconto personale. Quando si parla di fede, niente è infatti più importante che difenderla da chi prova ad attaccarla.
Accade anche nel calcio, che è – come notava Galeano [2] tra gli altri – una fede secolarizzata. Guai a toccare la fiducia dei tifosi, guai a ridicolizzare l’importanza dei simboli o a sfruttarne la forza evocativa per pagarsi l’indulgenza plenaria. Questo è abbastanza chiaro quando i tifosi, per farsi le spalle grosse e sentirsi più giusti, attaccano le derive economico-commerciali del calcio moderno. Cosa accade però se non è più il calcio come sistema a mangiarsi i tifosi, ma sono questi ultimi a favorirne la fagocitazione?
La domanda è forse troppo estrema, ma è più un grido d’allarme, disperato y final, che un’accusa preventiva alle curve delle più importanti piazze italiane. Parliamo di grandi città, soprattutto, e in questo senso una sponda ideale – esemplificativa – ci è offerta dalle due curve di Milano, Nord Inter e Sud Milan. Milano è infatti una piccola metropoli che, nella sua enorme visibilità, sembra offrire all’indagine una realtà più sicura di altre (come Roma e Napoli, ad esempio).
Siamo partiti con una citazione dal vangelo di Marco. Per qualcuno sarà un’esagerazione, ma l’analogia riposa sul fatto che nell’uno (religioso) come nell’altro (calcistico) caso c’è ancora chi, nel giardino sempre più ingiallito dalle scorie del tempo, crede con passione, cuore e genuinità a certi valori. Moltissimi tra quelli che vanno a vedere l’Inter e il Milan rimangono fedeli a una certa tradizione, sono messaggeri di un codice tramandato, di un certo modo di comportarsi con indosso i propri colori. Tutto questo è indubbio, e non va dimenticato. Ma è una parte che, per quanto maggioritaria, non ha potere effettivo sui destini delle due curve.
Qualcosa è cambiato negli ultimi anni, lo si respira all’interno – la vecchia guardia, per così dire, guarda con sospetto e persino derisione al nuovo corso, soprattutto lato Milan – e lo si percepisce dall’esterno. L’accusa, per entrambe le curve, è la stessa: troppo spettacolo (soprattutto social) poca sostanza (ultras).