🟢 Contrasti ULTRA #16
Si parla, ovviamente, di Superlega (futura) e superleghe (già esistenti), ma soprattutto di come la sentenza della corte europea cambierà per sempre il nostro vecchio e caro calcio.
Il domani appartiene a noi, il calcio pure!
Oi oi oi! Buongiorno a tutti, cari amici. Oggi devo confessarvi, sono proprio di buon umore: sarà per il bianco Natale, sarà perché ho fatto colazione con lo champagne, sarà perché ho appena visto la copertina dell’Espresso dedicata alla ‘PERSONA DELL’ANNO: ELENA CECCHETTIN’, con annessa spiegazione: «La sorella di Giulia è la persona che caratterizza il 2023 per il nostro settimanale. Perché ha trasformato il dolore privato in assunzione di responsabilità collettiva, costringendoci a dare un nome al male di cui soffriamo: il patriarcato. Ma dopo la diagnosi serve la cura». Beh beh beh, amici miei, che dire. Siamo al top. E se qualcuno mi vorrà contestare per queste mie parole potrò sempre dirgli che no, ma cosa ha capito, si è trattato solo di “un errore di comunicazione” – un bacione e un buon Natale anche a Chiaretta nazionale.
Questo comunque, veniamo a noi, è stato un grande anno che ci ha riservato sorprese, colpi di scena, viaggi al termine della notte e arcobaleni al termine della pioggia! E poi fughe in avanti come quelle sulla Superlega. Ma che volete, non certo un riassunto dei fatti qui in questa disgraziata rubrica, rubrica di fake news e di troll russi, di fedayn e di hooligans. Ci eravamo però salutati settimana scorsa con l’augurio che l’accelerazionismo facesse il suo corso anche nel pallone, eliminando quantomeno le differenze di genere in quel mondo così retrogrado e patriarcale. E allora oggi non possiamo che essere favorevoli al colpo di coda della sentenza della Corte di giustizia Europea (un ossimoro in termini) e a suoi toni surreali, come ha già sottolineato il nostro santo e apostolico direttore:
«La Corte osserva che le norme FIFA e UEFA sullo sfruttamento dei diritti dei media sono tali da danneggiare (…) in ultima analisi, i consumatori e gli spettatori televisivi, impedendo loro di godere di competizioni nuove e potenzialmente innovative o interessanti».
Nell’epoca degli influencer e degli opinion maker pure le corti dicono la loro, come se fossero a Forum o al Bar Sport, e come se spettasse a loro disquisire di competizioni “potenzialmente innovative o interessanti”. Rob de matt, qua sta diventando tutto un varietà!
Però noi dobbiamo accelerare, ancora e sempre, mordere il freno ma pure perché io vi devo fare una grande confessione: a me ormai il calcio fa schifo. Ebbene sì, ve lo giuro: non riesco più a vederlo, mi disgusta. Ma chissenefrega di Salernitana-Milan, cosa me ne importa a me, e chissenefrega dei campionati nazionali che ormai non contano più niente, non a caso l’anno scorso l’ha vinto il Napoli. Ammettetelo a voi stessi, pure a voi inizia a fare schifo questo calcio ma dato che avete un lavoro frustrante, una moglie o un marito che si meriterebbe almeno un po’ di body-shaming, una convivente che vi trascina da IKEA la domenica pomeriggio oppure nulla di tutto questo o nulla in generale, nulla nella vita proprio come me, a cui rimane solo una mappa dei pub irlandesi in città, un’ironia disincantata da ex pischello brillante e un abbonamento nel settore popolare (si fa per dire) della mia squadra, ebbene noi che non abbiamo nulla in questa società che ci convince di dover avere tutto e proprio per questo poi abbiamo niente (avete capito? beh l’importante è che mi sia capito da solo), insomma la morale è che noi guardiamo ancora il calcio, ci appassioniamo al calcio e seguiamo il calcio, il fantacalcio, facciamo le schedine solo per combattere l’horror vacui che ci attanaglia e da cui non sappiamo come uscire. Meglio guardare Mazzocchi che galoppa sulla fascia d’altronde che la nostra partner, la quale magari pretende pure che prenotiamo il ristorante, o peggio ancora che le garantiamo delle prestazioni sessuali – brrr.
E allora che ci volete fare, ci resta questo calcio obeso a cui proviamo comunque a dare un senso, a immaginarcelo con il fisico di una diciottenne ricostruendoci noi stessi un entusiasmo da diciottenni. È un vivere contro l’evidenza come diceva Cioran, tutta la vita lo è, mentre ci hanno cucinato lentamente come rane di Chomsky, ci hanno levato tutto e alla fine hanno vinto loro, abbiamo iniziato a sviluppare una Sindrome di Stoccolma che ci ha portato ad amare i nostri carcerieri perché erano gli unici disponibili.
E quindi che c’entra la Superlega?
Intanto che facessero le cose in grande, sti carcerieri. Ma poi che magari, sapete come dicevano gli ultras no, fate la Superlega così noi torneremo ad animare le piccole piazze, a tifare quei brocchi che giocano nelle categorie minori, che uno lo dice fino a quando non va a vedere una partita di C e poi vorrebbe spararsi per quanto sono scarsi; tornare a un calcio senza VAR, senza campagne propagandistiche, senza bimbiminkia e bimbisocial viziati e arricchiti, con ruvidi centrali di difesa che prendono palla, palle e gambe e bestemmiano ogni due per tre.
È questo il mio desiderio per il 2024, 40 anni dopo il 1984 – quello orwelliano, che abbiamo superato galoppanti – e sessanta anni prima del 2084 – così, per dire e fare due conti – ma anche 23 anni prima del 2047. Il mondo nuovo, il calcio nuovo, la lingua nuova, i nuovi sessi e i nuovi confini! Qualcuno emergerà dal caos, e poco importa se sarà Elon Musk ad Atreju o Donald Trump alla Casa Bianca. Temo comunque che non sarà Andrea Agnelli, a cui voglio dedicare un pensiero. Triste, solitario y final, che condivide stati come un quindicenne piantato dalla ragazza, le canzoni degli U2 poi, quelle che ti regala Apple Music se non ti fai neanche l’abbonamento. Povero Andrea, piantato, spiantato e schiantato, che me lo immagino mentre con barba lunga e monociglio ancor più folto si strafoga di gelato e scende poi da Giuseppe, barista calabrese immigrato a Torino tanti anni fa, sbraitando: “hai visto, avevo ragione io sulla Superlega!”.
L’ha cazziato pure Karl-Heinz Rummenigge, al povero AA: «Lui non lo capisco e mi spiace umanamente. Era presidente ECA, era nell’Esecutivo Uefa, era presidente di una Juve tra i cinque top club. Ha perso tutto. Anche l’immagine. Andavamo d’accordo, ma, quando gli dicevo che il calcio non è solo economia, non la pensava come me», per poi concludere: «Il piano A, con le top d’Europa, era solo un alibi: il loro obiettivo era inserire arabe, americane, fare un torneo internazionale. Perdere le radici».
Un Karl-Heinz in versione cameratesca, sangue e suolo, blut und boden, che non ha capito che il futuro è lo sradicamento globale. L’aveva detto anche il sig. Heidegger, tedesco, tifoso del Bayern Monaco e camerata come lui: “lo sradicamento sarà destino mondiale”. Heimatlosigkeit, diceva Heidegger, laddove Heimat vuol dire patria ma ancor prima Heim significa focolare. Tradotto: nessuno sarà più a casa propria ovunque.
Ecco il nuovo calcio che vogliamo, sradicato fino all’autodistruzione, e che magari dopo essere imploso sviluppi nuove radici e nuovi frutti che non siano tanto marci. Anche perché dall’altra parte c’è l’ECA (l’Associazione dei Club Europei) che annuncia trionfante: «Continueremo a lavorare con la UEFA, la FIFA e tutte le parti interessate riconosciute del calcio per sviluppare il gioco in modo positivo e progressivo, fondato sui principi di meritocrazia sportiva, inclusività, competizione aperta e solidarietà genuina. Le riforme progressiste continueranno!».
Per carità, sembra di sentire Elly Schlein. Non hanno ancora capito, questi poveri socialisti arricchiti, che è arrivato il mondo nuovo degli Elon Musk e delle Superleghe, dei tornei e dei figli generati in provetta e chiamati X Æ A-XII, Exa Darl Sideræl oppure A22, come la nuova società promotrice della SuperLeague. Cari accelerazionisti, il 2024 sarà il nostro anno. Procediamo insieme come soldati digitali verso lo shutdown, verso l’abisso: il domani appartiene a noi, e il calcio pure!
CALCIO BULIMICO
😵 Si gioca troppo, pt. ∞
da 📰 The Telegraph
Persino al Manchester City – sorta di statuetta idolatrica del calcio moderno – ci si lamenta della bulimia del football contemporaneo. La squadra di Guardiola, impegnata nel Mondiale per Club (vinto) in questi giorni, è reduce da un Triplete storico ma stancante. Bernardo Silva in particolare ha detto: “Non siamo stati consultati ma cerchiamo di fare il nostro lavoro. La realtà è che la quantità di partite che abbiamo oggi, e ancora di più con le nuove competizioni, è pazzesca a causa della mancanza di riposo dei giocatori, e quindi il rischio di infortuni aumenta parecchio”.
È un punto sul quale anche Rory Smith, nell’articolo che trovate qui sotto, ha battuto – nel senso sia della salute dei giocatori sia della godibilità dello spettacolo. “Secondo me, per le persone che amano il gioco, se giochiamo così tanto e a lungo, alla fine le partite perderanno ritmo, perderanno intensità. Penso che la Coppa del Mondo per club sia una competizione di alto livello, quindi nessuna lamentela, ma la quantità di partite e il programma che abbiamo oggi rendono complicato essere sempre in forma e avere livelli di energia adeguati a giocare bene”. E ancora: “Non mentirò, a volte mi sento stanco. Giochiamo ogni tre giorni, non ci riposiamo. Non riposiamo a Natale, né d’estate. Ma è il prezzo che paghi per essere in un top club e lottare per tutte le competizioni, e alla fine il nostro sogno era giocare a questi livelli”.
Il suo allenatore, Herr Pep, ha ripreso le parole del suo tuttocampista aggiungendo: “La FIFA ha preso una decisione e tutti i club la sostengono. Faccio parte dei club. Non sono contrario a nuove competizioni. Sono contrario alla mancanza di tempo per recuperare anno dopo anno. Questo è ciò di cui mi lamento”. Leggere queste dichiarazioni alla luce della rediviva SuperLega è quantomeno curioso: “Per me non conta giocare ogni tre giorni, sei giorni, sette giorni. Ma è davvero, davvero difficile finire la stagione e tra tre settimane devi ricominciare da capo e andare in Asia per essere finanziariamente stabile, o andare negli Stati Uniti, o dovunque. È davvero dura per me ma soprattutto per i giocatori e penso che questo dovrebbe cambiare”. Quante dichiarazioni come questa dovremo ancora leggere prima che qualcosa cambi davvero?
👨🔬 Conoscenza è potere, ma è divertente da vedere?
dal 📰 New York Times
Sul New York Times, Rory Smith si chiede la più ovvia – e quindi essenziale, direbbe Heidegger – delle domande: conoscenza fa rima con divertimento? Niente affatto, soprattutto se la questione ha a che fare col gioco del pallone. Un gioco, appunto, che però ha perso il suo carattere gioioso riducendosi – un po’ ovunque, sempre più velocemente – a mera analisi dei dati. Non solo quando si tratta di acquisire questo o quel giocatore (l’algoritmo tanto caro ai dirigenti del Milan, ad esempio), ma anche quando si tratta di analizzare questo o quell’avversario per questa o quella partita.
Dan Burn, difensore del Newcastle, ha recentemente affermato alla BBC che “quando giochi contro qualcuno due volte a stagione, ogni stagione, escono fuori degli indizi: sai già cosa accadrà in campo”. Con parole simili, ma dense di malinconia per il calcio che fu, si era espresso anche Luis Alberto a Repubblica qualche tempo fa. Lo spagnolo è allenato da un maniaco della tattica come Sarri, confratello di Marcelo Bielsa, a proposito del quale sempre Burn ha detto: “Guarda il Leeds di Bielsa. Al primo anno, i giocatori correvano dappertutto e nessun avversario sapeva opporvi resistenza. Dopo un anno, però, abbiamo iniziato a comprendere il sistema di Bielsa, trovando i modi per contrastarlo”. Chiaramente, non sempre conoscere l’avversario significa essere in grado di fermarlo: di certo però l’analisi diminuisce questo rischio, e così l’imprevisto del gioco, rendendolo assai meno godibile per uno spettatore esterno.
Dice Rory Smith che “in un modo considerato eretico fino a tempi relativamente recenti, il calcio è arrivato a comprendere i suoi meccanismi interni e i suoi ritmi silenziosi. Ha imparato a considerarsi un esercizio intellettuale oltre che atletico”. Qual è il problema? “Il problema è che il calcio, come tutti gli sport, ha un altro imperativo: divertire. La fiorente economia di questo sport si basa sull'idea che le persone pagheranno per guardarlo, tramite biglietti a prezzi esorbitanti o pacchetti di abbonamenti a prezzi esorbitanti. In cambio, chiederanno uno spettacolo avvincente e coinvolgente. Questo patto è sostanzialmente più difficile di quanto spesso ammettiamo. Tutti nel calcio, dai dirigenti ai giocatori, agli allenatori e agli analisti, sono pagati per vincere. Se non vincono, tendono a non essere più pagati. Questa è la metrica delle prestazioni che conta di più per loro. Che il resto di noi lo trovi divertente o meno è, nella migliore delle ipotesi, una considerazione secondaria”.
In generale questa stagione sembra un’eccezione, perché in Germania il Leverkusen sta stupendo tutti, in Spagna la lotta per il titolo è furente e il Girona sta facendo qualcosa di incredibile (per quanto, aggiunge poco dopo Smith, “nel calcio moderno non è possibile parlare propriamente di Davide contro Golia: lo stesso Girona infatti fa parte del City Football Group”); la Premier, continua Smith, non era così divertente da anni.
Eppure, il problema rimane la partita in sé, non l’esito sul lungo periodo: “Per 90 minuti, due squadre che non possono essere sorprese, che sanno esattamente cosa sta cercando di fare l'altra, si impegnano in una serie di finte, spostamenti e astuzie mentre tentano di identificare un punto debole, di progettare una vulnerabilità. Il vincitore è colui che riesce a creare anche il più breve degli squilibri. Dove questo conduca è un esercizio del tutto teorico, ma è possibile che la conclusione naturale non sia un’ulteriore crescita ma uno stallo indissolubile, dove lo sport non è più sollevato dalla sua conoscenza ma da essa gravato. L’eccessiva familiarità, dopo tutto, genera disprezzo”.
SUPERLEGA
👹 I nuovi mostri
da 📰 The Guardian
Sono quelli che creano i burattinai del pallone, unti da un’ipocrisia squallida che da un lato li porta a lottare a morte contro la Superlega e, dall’altro, li vede impegnati a creare tante piccole superleghe ad ogni piè sospinto. Allargare, allargare e ancora allargare! Ridurre il livello ampliando mondiali, europei, Champions League, giocare 365 giorni l’anno e come se non bastasse buttare nel cestino il calendario gregoriano e creare quello griffato Ceferin–Infantino. Lo spunto per narrare il delirio viene dall’ultimo Mondiale per Club appena terminato. Quella disputata in Saudi Arabia, infatti, è stata l’ultima kermesse con la formula dei campioni delle confederazioni. Ora un anno di pausa (a meno che la coppia svizzero–slovena non si inventi qualcosa tanto per tappare il buco) poi si partirà con il nuovo format. Insomma, una Superlega senza che si chiami Superlega.
Trentadue club, numero confermato dal meeting arabo dei giorni scorsi. Il Guardian commenta con queste parole il futuro del torneo: “una competizione della durata di un mese la cui prima edizione avrà luogo negli Stati Uniti tra un anno e mezzo e che, senza dubbio, si disputerà sulle coste saudite. abbastanza presto”. Insomma, Vision 2030 si è presa anche il football e non ci voleva molto per averne la conferma. Si trattava solo di questione di tempo. Quello frenetico che scandisce la vita nella penisola araba e che sembra scorrere il doppio rispetto a quello del nostro vecchio e vituperato continente. Prosegue Nick Ames: “i sindacati dei giocatori hanno criticato l’espansione; è noto che i giocatori stessi, senza voce in capitolo e gravati da carichi di lavoro quasi impossibili, la vedono in modo negativo. I loro datori di lavoro la pensano diversamente. Un fatto dimostrato in una risposta espansiva della European Club Association che ha salutato notizie fantastiche per il calcio dei club in generale”.
E che l’Arabia Saudita abbia tanta voce in capitolo si intuisce dal fatto che il rumor di inserire almeno un paio di club nella Champions League della Uefa si sia spento dopo che gli arabi hanno avuto la garanzia che una squadra saudita si qualificasse in uno dei quattro posti asiatici per il Mondiale del 2025.
Nove anni prima della Coppa del Mondo, stavolta per nazionali, che questa nazione dalle mille contraddizioni ospiterà. Evitiamo di porci il dubbio di quante squadre faranno parte della fase finale. Dalle 48 (sic) dell’edizione 2026 in America arriveremo alle 60? E un brutto giorno aboliremo le qualificazioni e ci sfideremo tutti?! San Marino vs St. Kitts & Nevis ultima giornata del gruppo Z che mette in palio un bel niente dinnanzi a 600 annoiati spettatori dello stadio dedicato a Mohammed bin Salman, dotato di aria condizionata, cinema, supermarket e sì, per i nostalgici ci sarebbe anche un prato dove 22 giocatori corrono dietro a una palla. Ecco allora che la profezia del pezzo precedente, dedicata ai dati e al divertimento, diventa realtà. Anzi, incubo per dirla correttamente. Per svegliarci e tirare il freno di un treno impazzito bisogna muoverci. La sabbia del deserto del Nejed scende veloce dalla clessidra e il tempo sta per scadere.
🐉 I mostri che verranno (e quelli che ci sono già)
dal 📰 Süddeutsche Zeitung
Con toni estremamente simili a quelli del Guardian, solo che in un’altra lingua, il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung parla del Mondiale per Club saudita come altra Superlega, Superlega mascherata. Questa “è già tra noi, ed è una creatura della FIFA”. Cosa cambia, si chiede il SZ, che la si chiami Superlega, Pinco Pallino o Mondiale per Club? “La lotta per i grandi affari con i brand di lusso del calcio europeo è una questione aperta. Questa settimana abbiamo assistito a due svolte. Domenica la FIFA ha annunciato i dettagli della Coppa del mondo per Club prevista per la prima volta nel 2025, compresi i criteri di qualificazione per il campo dei partecipanti. Giovedì la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sulla Superlega”.
Ma se “le costruzioni del Mondiale per club e della Superlega possono essere diverse, politicamente e di fatto equivalgono alla stessa cosa”. Il giornale tedesco parla di doppio attacco: alla Champions League e alla UEFA, nonché alle leghe nazionali, al loro status e ai loro equilibri interni – non a caso Abodi, in Italia, ha parlato di “serio rischio” rispetto alla perdita di valore dei campionati nazionali nei prossimi anni.
“La distribuzione dei fondi della Champions League sta già creando enormi lacune ovunque. Ma se la FIFA distribuisse miliardi ai club d’élite con il Mondiale per club, il vantaggio finanziario per esempio del Bayern sul resto della Bundesliga aumenterebbe ulteriormente. E a quanto pare la FIFA non si preoccupa degli interessi dei giocatori, che già lamentano il troppo stress e ora hanno un grande torneo in calendario. Considerando le prossime estati – Europeo 2024, Coppa del Mondo per club 2025, Mondiali 2026 – i migliori calciatori d’Europa non vivranno nulla di simile a una normale pausa estiva fino al 2027 – sempre che Gianni Infantino non abbia inventato qualcosa di nuovo per allora”. Lo stesso Infantino che, ricorda il SZ, è sempre rimasto piuttosto ambiguo – i famosi piedi in due staffe, per intenderci – rispetto alla denuncia della Superlega. Fifa e UEFA, insomma, non sono proprio amiche per la pelle, e il Mondiale per Club rischia di essere una Superlega 2.0.
🕹️ Livelli sbloccati
da 📰 The Athletic
Come se si trattasse di un videogioco interattivo, la sentenza sulla Superlega, scrive Nick Miller su The Athletic, ha sbloccato nuove possibilità - nuovi livelli - per il giuoco del pallone. Da un lato infatti la sentenza “potrebbe non avere alcun impatto sui club inglesi: la Premier League ha già regole in vigore per impedire alle loro squadre di unirsi a una Super League separatista e il governo del Regno Unito ha chiarito che il neonato independent football regulator del calcio avrà il potere di fermare anche loro”; dall’altro, proprio in virtù di ciò, la sentenza “potrebbe aprire la porta al coinvolgimento di club di diversi paesi in una serie di nuove competizioni transnazionali”.
L’autore si diverte quindi a elaborare una serie di (più o meno ironico-goliardiche) competizioni alternative alla Superlega. Un mero esercizio di stile e di letteratura sportiva, dunque, ma anche qualcosa di più: la rottura definitiva dei margini del ‘vecchio calcio’, ormai al tramonto. Prima ipotesi: una Premier League Cup. Non un’alternativa alla FA Cup o alla Carabao Cup, ma un grande miscuglio transnazionale appunto: “un invito annuale in cui una selezione di supergiganti europei - il Real Madrid, l’Inter, il Paris Saint-Germain - sono invitati a giocare in una competizione contro una selezione di squadre della Premier League, che non viene decisa fino all'ultimo minuto. Potrebbero essere grandi squadre, ma anche no: il pericolo che il Real venga in Inghilterra senza sapere se giocherà contro il Manchester City o il Luton Town potrebbe essere estremamente divertente”.
Poi la seconda proposta, decisamente più stuzzicante: una FA Cup europea. “Ogni club nelle prime sei divisioni di ciascun paese europeo viene gettato in un grosso piatto. Il gruppo di squadre viene ristretto dal sorteggio iniziale a un numero leggermente più gestibile: diciamo 256, per ragioni di simmetria del sorteggio. I nomi più grandi rimangono automaticamente, ma gli altri vengono selezionati per partecipare in modo casuale. Tutte queste squadre vengono inserite in un sorteggio senza teste di serie. Pensateci un attimo: la Juventus che affronta una trasferta difficile contro l’Oldham Athletic, il PSG che si prepara contro la squadra di seconda divisione faroese B71 Sandoy. Potremmo includere anche quelle squadre che giocano la Coupe de France nonostante provengano da una piccola isola nel mezzo del Pacifico: il Bayern Monaco potrebbe affrontare l'AS Pirae, di Tahiti”. La terza proposta si affianca a questa: un Invito alla FA Cup, nel quale quindi ogni anno una squadra europea viene invitata come ospite a partecipare al massimo e più antico trofeo inglese.
Quarta proposta: l’Europroject. “Seguendo un'idea vagamente simile, che ne dite di una competizione di coppa in cui un rappresentante di ogni paese europeo partecipa ad un sorteggio ad eliminazione diretta? Sì, avete ragione: una volta ce l'avevamo e una volta si chiamava ‘Coppa dei Campioni’. Ma ecco la svolta: invece della migliore squadra di ogni paese, perché non avere una squadra estratta casualmente da ogni paese?”. Miller aggiunge che la stessa squadra non può partecipare per due anni di fila al torneo. Un punto, questo, “vagamente serio nel gioco europeo attuale”, dove le squadre più grandi competono sempre (più) nelle competizioni (più) ricche, aumentando la loro ricchezza e diminuendo quella degli altri. Quinta proposta, di stampo nostalgico: “il glorioso ritorno della Coppa Anglo-Italiana” (lacrime di Borghetti). C’è un altro glorioso ritorno, alla sesta proposta: la Coppa delle Coppe. Ultima proposta, più britannocentrica: Rangers e Celtic in Premier League. Orrenda, onestamente.
🗣️ Dicono della Superlega
Jürgen Klopp: “Sono d'accordo al 100% con il comunicato (del Liverpool, ndr), ma mi piace comunque il verdetto della Corte di giustizia europea. Finalmente capiamo che la Fifa, la Uefa e le altre Federazioni o qualsiasi altra federazione non possono semplicemente fare quello che vogliono. Nel calcio dobbiamo parlare di molte cose e mi piace che si scuotano un po'. Ma no, sulla Superlega ho la stessa opinione che avevo prima”.
Carlo Ancelotti: “Questa decisone è importante per il calcio. Alcuni club non sono convinti, ma penso possa essere una cosa positiva per tutti. Il fatto che non ci sarà il monopolio sarà positivo. Il tempo dirà se è una buona cosa”.
Massimiliano Allegri: “Non credo sia opportuno parlare di queste tematiche, soprattutto non sono io a doverlo fare. Se ne occupano il presidente e l'amministratore delegato”.
Maurizio Sarri: “Bisogna vedere che piega prenderà la vicenda. Io sono un tradizionalista, non mi piace neanche il format della prossima Champions”.
Che cosa rappresenta per la cultura argentina e il Boca Juniors l’elezione di Juan Roman Riquelme alla presidenza del club? E cosa significherebbe traslare questo modello, politico-culturale, sul calcio italiano?
Nato a Buenos Aires nel 1956, l'ingegner Luis Ruzzi collabora da tempo con il mondo del calcio argentino lavorando come intermediatore. Nel corso dei decenni è diventato un punto di riferimento in Italia per tanti giovani calciatori alla ricerca di squadre. Capo delegazione della nazionale albiceleste in occasione dei mondiali di Italia 90, Ruzzi ha affiancato per tanti anni l'allenatore Carlos Bilardo nei suoi viaggi in Europa per seguire i calciatori della Selección.
Trovare un arbitro oggi è davvero difficile
📚 Estratto da I calciatori selvaggi, di Marco Ciriello (GOG Edizioni, 2022)
La scelta dell’arbitro non fu facile. Perché dalla nascita della SuperLegaSmart (SLS) erano stati eliminati dal gioco, molti avevano cambiato identità, alcuni persino sesso, altri avevano scelto di riciclarsi come delatori, diversi erano stati uccisi per vendetta, qualcuno finalmente aveva capito il gioco guardando le partite dei Selvaggi. Tra quelli che avevamo contattato neanche uno volle accettare di arbitrare: un po’ per paura, un po’ perché nessuno di loro aveva creduto che davvero potessimo arrivare al punto di ricattare il governo mondiale, per giunta con il presidente con un braccio inchiodato al centro della terra e con il cuore di Maradona finalmente nelle nostre mani. Alla fine trovammo la nostra terna, erano tre panettieri baschi, l’ex arbitro internazionale Bernardo Atxaga, sessantanovenne e i suoi due figli Ekhi e Gorka. C’era un piccolo problema che, però, rendeva ancora più cinematografico il ritorno all’arbitraggio del vecchio Atxaga: si muoveva in cochecito, con una motoretta-carrozzella, non potendo più stare dietro alla velocità dei nuovi calciatori, il suo clacson a fischietto era amplificato da due casse da concerto dei Metallica, e aveva la possibilità di guardare subito sul monitor della carrozzella le azioni dubbie. Mentre i suoi due figli guardalinee erano autonomi e scattanti nei loro trent’anni passati a crescere e infornare, anzi sembravano due centometristi con braccia da culturisti. C’era una disparità contestabile: la terna arbitrale aveva delle simpatie selvagge, e noi c’eravamo anche interrogati su un eventuale risarcimento, ma poi subito c’era ritornato prepotente il pensiero che quei cornuti c’avevano tolto tutto quello che amavamo, senza chiederci nulla, e ora dovevano pagare, pagare e perdere. Bernardo Atxaga era conosciuto per la sua inflessibilità, e anche per la sua cocciutaggine – ancora sfornava il pan de maiz con la vecchia ricetta e in un forno a legna – in più si raccontavano storie meravigliose sulla sua contraerea di peti, partite sospese per nuvole puzzolenti che avevano avvolto calciatori, intere linee difensive cadute dopo uno scatto, palloni esplosi per scontri gassosi, curve crollate sotto la spinta d’un vento contrario, allenatori tramortiti e rigori tirati alle stelle dopo un fischio con troppo sforzo. Atxaga aveva accettato sapendo che avrebbe riscattato quelle piccole libertà che s’era preso e che gli avevano impedito di arbitrare delle finali, si era sempre fermato a delle semifinali che venivano ricordate all’inizio per strane tempeste puzzolenti, poi con l’aiuto della statistica e delle testimonianze, si era ricostruita l’origine, e lui era stato messo a riposo. Era la sua grande occasione, io mi limitai a consigliargli di mangiare in bianco nella settimana prima, di lasciar perdere i Bum Bum Mexican Beans, altrimenti avrebbe messo a rischio la nostra scelta, probabilmente l’unica possibilità per far tornare il calcio vero.
Marco Ciriello (1975), scrittore e giornalista. Scrive articoli, documentari e libri.
La bontà degli Ultras di cui non parla nessuno
Carmelo Bene era attratto dal patologico, e come noi se ne infischiava della buona condotta morale. In fondo la buona morale, quando è spalmata in vista delle opere, produce solo pandori in edizione limitata. Noi preferiamo bearci delle contraddizioni delle umane genti. L’umanità che cos’è, infatti, se non una costante e vivente – eppure meravigliosa – contraddizione? E chi meglio rappresenta questa umanità vorace e contraddittoria se non gli Ultras, ultimo retaggio – si spera ancora per un po’ – di un mondo passionale e sincero, con tutto ciò che ne segue (nel bene e nel male)?
Ecco, appunto, nel bene e nel male. Nel male se ne parla pure troppo degli Ultras, nel bene quasi mai. Ma su So Foot, giornale francese da sempre attento a certe dinamiche, Clement Gavard ne ha voluto parlare positivamente, testimoniando le tantissime iniziative benefiche – queste sì, poco pubblicizzate dai media – che gli Ultras di tutto il mondo stanno svolgendo in questo periodo dell’anno: “gli ultras, scrive il giornalista transalpino, non sono solo persone vestite di nero che si divertono a bere birra e a litigare. Tra gli ultras esiste una dimensione ambivalente, dice ad esempio Nicolas Hourcade, sociologo specializzato nella questione della tifoseria. Ciò che rende difficile l’immagine degli ultras è che possono avere comportamenti sia molto positivi che molto negativi”.
Nel caso specifico “l’aspetto positivo, di cui forse si parla meno nei media e nei dibattiti, è la fibra sociale insita nel movimento ultra. Nei locali del Roazhon Celtic Kop, la principale tifoseria dello Stade Rennes, a poco più di due ore dal calcio d'inizio Rennes-Monaco, sono state raccolte una dozzina di scatole sono piene di peluche, un libro Tom-Tom e Nana, giochi da tavolo, una statuetta di Harry Potter, macchinine... tutto ciò che riporta all’infanzia e ai suoi ricordi”. Per quale motivo? “Si trattava di una raccolta di giocattoli lanciata dagli ultras del Rennes per i bambini ricoverati in ospedale”.
Paul, uno degli esponenti del gruppo, ha ricordato come “due anni fa abbiamo raccolto poco più di 12.000 euro durante una lotteria di solidarietà per finanziare una sala d'attesa Snoezelen presso l'ospedale Sud di Rennes. L’obiettivo era aiutare le persone con sindrome di Down che avevano bisogno di un ambiente più tranquillo. È stato un vero successo e ci siamo detti che dovevamo sfruttare l’ampiezza e la fratellanza del nostro gruppo per ribadire questo tipo di iniziativa”.
Nel frattempo i Green Angels del Saint-Étienne hanno raccolto materiale scolastico da distribuire ai ragazzi più poveri per permettere loro un’istruzione adeguata. All’inizio del mese, i Dogues Virage Est hanno partecipato ad un lancio di peluche a Lille-Metz. Uno dei suoi esponenti, Donat, ha detto: “abbiamo organizzato tutto dalla A alla Z, senza alcun tipo di fatica anzi: queste sono cose che ci stanno a cuore. Durante il lockdown abbiamo preparato 980 pasti per il personale sanitario, siamo intervenuti per ospedali, asili nido, caserme dei vigili del fuoco. Quando c'era la guerra in Ucraina, abbiamo inviato 200 chili di cibo”. Sempre Donat ha ribadito con forza: “non siamo solo persone in uno stadio che urlano contro un giocatore, fischiano l'arbitro o bevono pinte, c'è qualcos'altro dietro tutto questo. Un gruppo ultras è come un mini-club, meglio è una piccola (o grande) comunità”.
Da quando hanno iniziato a formarsi come gruppi strutturati (anni 90), ha sottolineato il sociologo Nicolas Hourcade, “i gruppi ultra hanno lanciato molto rapidamente diverse azioni alla guida della comunità [locale; della città o del quartiere che fosse]. È stato soprattutto quando hanno iniziato ad avere sedi in città, negli anni '90, che sono stati facilitati i collegamenti con altri attori locali. Ad esempio, è in questo periodo che i gruppi marsigliesi si sforzano di intervenire nel quartiere in cui si trovano i loro locali”.
Attenzione, continua Hourcade: queste buone opere non sono operazioni di solidarity-washing, ma “un’occasione per promuovere la città, essere parte della città e dimostrare di essere capaci di un altro tipo di impegno rispetto a cantare in curva”. Lo stesso Donat sottolinea come “in fondo, siamo innamorati della nostra città. Rappresentiamo la nostra città, tutto quello che possiamo fare per aiutarla, lo facciamo”. E così Paul, tifoso del Rennes sopracitato, gli fa eco: “I gruppi ultra hanno un ruolo da svolgere nella loro città. Quando avremo questa visibilità, come noi all’interno della città di Rennes, dobbiamo cogliere l’opportunità per intraprendere azioni ad essa collegate”. Che Dio salvi e preservi sempre questo spirito.
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Nell'augurare a tutti voi il buon Natale, che dire. La Superlega è il format perfetto per l'usufruente ( dai, coniamo un neologismo) medio di qualsiasi cosa di oggi. Anzi, io proporrei partite da venti minuti, due tempi da dieci, dirette su netflix e partite visibili solo su smartphone. Andiamo incontro alle nuove generazioni di lobotomizzati.