Bert Trautmann, il portiere di ferro
Dalla guerra con la Wehrmacht alla gloria con il Manchester City.
Dintorni di Dnipropetrovsk, inverno 1941. Il gelido silenzio del bianco inverno è interrotto dalle cannonate dei panzer, dalle mitragliate, dalle detonazioni di granate. I cadaveri congelati dei soldati della Wehrmacht iniziano a essere tanti, troppi, molto più di quanto aveva preventivato l’alto comando del Reich. Per scaldarsi, per farsi coraggio, per ricordarsi come mai sono in quelle lande desolate a migliaia di chilometri dalla madrepatria, le truppe intonano un canto austero e terribile, foriero di morte e distruzione. Cantano il ‘Teufelslied’, la Canzone del diavolo.
Wo wir sind da geht's immer vorwärts,
Und der Teufel der lacht nur dazu!
Ha, ha, ha, ha, ha!
Wir kämpfen für Deutschland,
Wir kämpfen für Hitler,
Der Rote kommt nie mehr zur Ruh'.
Ovunque noi andiamo, sempre avanti,
Ed il diavolo ride con noi!
Ha, ha, ha, ha, ha!
Lottiamo per la Germania
Lottiamo per Hitler
Il Rosso non riposa mai più.
Tra di loro, nei Fallschirmjäger, i paracadutisti inquadrati nella tristemente nota 35esima Divisione di Fanteria, c’è un valoroso caporale di 18 anni, Bernhard Carl Trautmann. Anche lui spara, e chissà se nei momenti di paura ripensa all’infanzia a Brema, quando andava a vedere le partite di calcio con suo padre, lui che da piccolo sormontava i coetanei in ogni sport, che si parlasse di nuoto, atletica, pallamano, calcio.
Era stato persino omaggiato di un certificato di eccellenza sportiva dal cancelliere Von Hindenburg. A soli 9 anni, su sua autonoma volontà, era entrato nella Jungvolk, la branca preparatoria della gioventù hitleriana. Per quel bambino, figlio della classe operaia di Brema, sembra troppo bello il cameratismo con i coetanei, tutto quello sport, la vita all’aria aperta, lo scoutismo. A 15 anni è secondo in tutto il Reich nel salto in lungo, nei 60 metri e, udite udite, nel lancio di granata.
E ovviamente quando arriva il momento delle scelte definitive, a 17 anni, è scontata la richiesta di servire al fronte, tanto da chiedere espressamente lo spostamento in prima linea, non pago dell’impiego da operatore radio nella quieta Polonia. È come se il suo corpo, prima ancora della sua mente, reclamasse il rischio, lo sforzo, il dolore. È il perfetto soldato nazionalsocialista, ed è fiero di rischiare la vita assieme ai suoi camerati per estendere il Lebensraum del Reich. Eppure, qualcosa sta scavando dentro.