Andy Capp, l'antieroe per eccellenza
Un fumetto diventato icona perché non ci ha mai voluto insegnare a vivere.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, mentre la Marvel sta dando vita ai suoi personaggi più famosi (Spiderman, Capitan America, i Fantastici 4, Iron Man, etc.), tutti animati da un generico quanto autentico eroismo, in Inghilterra, dalla mente di Reginald Smythe nasce e spopola Andy Capp: l’antieroe per eccellenza. L’umano più umano di tutti.
Ai muscoli, ai superpoteri e alle metropoli Smythe preferisce immaginare il suo personaggio con un flat cap in grado di coprire gli occhi, una sigaretta penzoloni dalle labbra e una pinta, ovviamente scura. La città dove è ambientato non è New York o San Francisco ma un paesino dell’Inghilterra del Nord, si pensa Hartlepool anche se l’autore non lo ha mai confermato. La sua missione non è salvare i più deboli ma vivere alla giornata evitando di lavorare, possibilmente. Insomma, Andy è un uomo come tanti e nonostante per molti rappresenti semplicemente lo stereotipo del classico sottoproletario inglese senza grandi ambizioni, è molto di più.
La sua è un’immagine di denuncia sociale perché parla di alcolismo, violenza (domestica e non) e disoccupazione. È il ritratto di tanti ragazzi che hanno visto e vissuto i drammi della Seconda Guerra Mondiale. È il fratello figlio unico di Rino Gaeatano, solo un po’ più incazzato. È, soprattutto, l’Accattone di Pasolini. Confrontando le date di pubblicazione, però, è più corretto dire il contrario. I due, infatti, nonostante vivano in Paesi completamente diversi sembrano quasi la stessa persona: sottoproletari che vivono alla giornata senza curarsi (o potersi curare) del futuro.