Allegri sta ricostruendo la Juventus
È giunto il tempo di parlare dell'allenatore livornese senza isterismi.
È da tempo, oltre un anno, che non parliamo più di Massimiliano Allegri. L’ultima volta lo avevamo fatto con un editoriale nel momento di maggiore difficoltà della Juventus, scrivendo di un allenatore sempre più incartato, impantanato nella trincea di una guerra santa che rischiava di perdere. Poi la Juventus si è lentamente ripresa ma da allora siamo stati altrove, chiusi in un impenetrabile silenzio, senza voler ridiscendere negli inferi di un dibattito isterico e indiavolato: probabilmente il più ottuso, violento e collerico che il nostro calcio recente ricordi. Una dialettica da opposte fazioni in armi, una guerra totale in cui la prima vittima, come sempre in questi casi, era la verità.
Niente articoli, accenni poco e nulla, neanche post sui canali social. Ma perché noi stessi, che se ci concedete eravamo stati i primi a formare il ‘personaggio’ Allegri – quel livornese anarco-conservatore, ingegnoso e anti-dogmatico, ultimo rappresentante (in campo e fuori) della tradizione italica di allenatori gestori – ebbene noi in primis ci eravamo pentiti di aver alimentato quella (finta) dicotomia tra risultatisti e giochisti, tra progressisti e reazionari nel pallone, tra propositivi e reattivi. Un dualismo tanto fallace quanto, alla 'lunga', nauseante.
Non ne potevamo più del cortomusismo e del catenaccio-shaming, dell'allegrismo e dell'antiallegrismo; di una discussione diventata metafora di qualcos'altro che andava ben oltre il calcio. Un 'dibattito' psicotico da sì Vax o no Vax, sì Max o no Max. E un metodo che ha impedito di parlare del merito, tant'è che per due anni non si è neanche lontanamente potuto ‘ragionare’ sull’opera di Allegri, sull’uomo e sull’allenatore. Così facendo siamo sprofondati in una dialettica dell'orrore: scomposta, irrazionale, esacerbata fino ai suoi limiti più paradossali.